A man without a gun is not a man direbbero nel copione di un qualsiasi western di «serie b», e la frase funziona perfettamente per riassumere ciò che capita a Tony (Jake Gyllenhaal) in viaggio sulle strade stellate e solitarie del Texas con moglie e figlia scontrosa adolescente destinazione Marfa. Sono partiti la notte perché alla figlia piace così, è un «animale notturno» da sempre. Ma la notte non è solo poesia specie laggiù nel «rozzo» west dove circolano spietati balordi, altre creature notturne che puzzano di alcol e sudore lercio, psicopatici e incattiviti: uno speronamento, una lite, e poi via, gli assalitori fuggono con le due donne come prede. L’uomo, un «cittadino», un borghese, senza armi (e sotto inteso senza palle) se le fa portare via senza fare nulla. Le troveranno adagiate, come in una installazione di Hirsch, su un divano di velluto porpora. Bianchissime, i capelli rossi che si abbracciano, morte.

Ma Tony non esiste, è soltanto il personaggio di un romanzo che l’ex marito manda a Susan, curatrice d’arte di successo (Amy Adams, appena vista in Arrival, attrice di magnifica duttilità), che lo ha lasciato tanti anni prima brutalmente a causa soprattutto della sua «debolezza» di fronte alla vita. Ci aveva provato la ragazza cattolica texana ricca partita per New York in cerca di carriera a amarlo ma la madre l’aveva avvertita: le cose che ti piacciono in lui ti stancheranno. Lei però ostinata lo aveva sposato, quasi una vendetta filiale verso la donna da cui vuole essere diversa. «Ma cara – le sussurra la mamma davanti a un cocktail Martini, perfida Laura Linney – prima o poi diventiamo tutte come le nostre madri». Susan è insonne, non ha mai dormito, è un «animale notturno» pure lei, a cui il romanzo è dedicato. Il suo matrimonio va sempre peggio: tradimenti, silenzi, ipocrisie. E anche il lavoro, nonostante i plausi, non l’appassiona più. I rimpianti affiorano la notte, tra le righe di quella storia violenta i cui personaggi prendono i volti appartenuti alla sua esistenza.

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Nocturnal Animals, terzo titolo americano in gara, è il nuovo film di Tom Ford, stilista iperfashion e regista capace di sorprendere con intelligenza anche in questa sua seconda prova dopo il bell’esordio di A Single Man. Le prime sequenze sono folgoranti: quattro donne si agitano in una danza sfrenata, nude a parte un cappello di strass, in mano la bandiera americana come cheersleaders invecchiate, i corpi grassissimi, sfatti, cadenti.

Un segno al contrario. Ma l’intero film di Ford – dal romanzo di Austin Wright, Tony e Susan, Adelphi – si presenta come un «concept» punteggiato dai simboli di un paesaggio americano: generi, stereotipi, postmoderno, arte, pop. L’orizzonte western della caccia all’uomo e della vendetta, di una provincia americana scassata, di poliziotti che sputano i polmoni e sono pronti a farsi giustizia da sé tanto ormai l’appuntamento più vicino è quello con la morte – stupendo Michael Shannon. Della Los Angeles patinata con le sue ville design e vetri, le psicopilloline magiche per essere felici, i party e le piscine «Bigger Splash». Di padri e di madri, di figli spaventati.

A Second Life, Una seconda vita. Il titolo della prossima retrospettiva della Viennale – uno dei festival europei più intelligenti oggi – dice bene il sentimento che attraversa molti dei film in gara visti fino a oggi. Il bivio «sbagliato» di La La Land, il cortocircuito tra passato, presente e futuro di Arrival. Anche qui il personaggio di Amy Adams è in bilico: sul viso scruta i segni del rilassamento, la mente distratta per via del poco sonno, le ragazze più giovani perfette che accompagnano il marito nelle sue sempre più frequenti fughe fuori casa. E quel romanzo che arriva improvviso col fragore di un passato rimasto sospeso.

C’è la sua vita lì dentro, e il suo amore, quell’uomo che ha finito per disprezzare era la sua scommessa di un futuro diverso. Ma del resto uno scrittore deve nutrirsi della propria esperienza, glielo diceva sempre al ragazzo mentre leggeva, annoiata, i suoi romanzi. Era debole, impacciato, e che vuoi farci, nonostante l’upper class lei pure era una ragazza del Texas con in testa il cowboy. Anche Ford è del Texas, Austin, e nel personaggio di Gyllenhaal ci mette un po’ dei suoi ricordi, di ragazzo gentile malvisto o quanto meno considerato eccentrico nel suo ambiente.

È una vendetta quel libro in cui Edward – il nome del marito – si sovrappone al personaggio di Tony (è sempre Gyllenhaal) nei ricordi di Susan che si intrecciano alla storia? Momenti della vita insieme, l’innamoramento e la fine. O è invece quello dell’ex un gesto di liberazione artistico, perché in fondo nella vendetta non rimane nulla per nessuno, soltanto solitudine e tristezza. E chissà, Edward magari ha ucciso il sognatore che era in lui per un po’ di cinismo in più, lo stesso di Susan. Una storia d’amore mancata è in fondo Nocturnal Animals (nelle nostre sale il 17 novembre). E la scommessa di Ford è raccontarne i movimenti e le crepe in un immaginario «sentimentale» nel quale sa muoversi con intelligenza, leggerezza, umorismo. La messinscena del romanzo attraversa gli stati d’animo, la malinconia di qualcosa che si è perduto, la sofferenza di una rottura,tutto quanto significa una scelta. Quel «rewind» sempre impossibile, col suo gusto teneramente amaro.