Indietro tutta per Martin Schulz. Dopo due mesi di rifiuto «categorico» il leader socialdemocratico apre ufficialmente il tavolo per rifare la Grande coalizione con Angela Merkel. C’è voluto il diktat del presidente della Repubblica, insieme a nove ore di riunione della segreteria Spd nella Willy-Brandt Haus, prima di far desistere il segretario dalla linea pro-voto.

A Berlino si accende così – e per davvero – la soluzione politica fino a ieri ritenuta improponibile anche se l’ultima parola spetterà comunque alla base del partito. «Sì al confronto ma senza alcun automatismo. I colloqui con Cdu e Csu potranno anche stabilire la nostra partecipazione al governo, però alla fine decideranno gli iscritti Spd», conferma Schulz. È comunque la svolta attesa per uscire dalla crisi istituzionale tedesca, la ripartenza del negoziato dopo la fallimentare fine dell’ipotesi «Giamaica» e l’appello alla responsabilità del capo dello Stato.

Nella residenza di Bellevue il presidente Frank-Walter Steinmeier ha già scritto l’agenda delle nuove consultazioni, fissando il primo incontro per far nascere il governo «rosso-nero» all’inizio della settimana prossima. Un vertice a tre fra la cancelliera Merkel, il leader Csu Horst Seehofer e Schulz, sotto la regia e il controllo istituzionale, destinato a trovare il punto di convergenza minima dei programmi. Poi Steinmeier convocherà di nuovo i segretari di Fdp, Linke e Afd sondando al contempo la disponibilità dei Grünen sull’eventualità di una coalizione «Kenia» (Spd, Cdu-Csu più Verdi). Un modo per ricucire lo strappo con gli ecologisti che lo hanno accusato di scarsa indipendenza ma anche un’altra via da tenere aperta per non tornare alle urne ad aprile 2018.

Orizzonti politici stretti, e tempi dei partiti perfino più contingentati. Il 7 dicembre si apre il congresso Spd che (in teoria) dovrebbe confermare la fiducia a Schulz nel ruolo di leader della transizione. Sconfitto alle elezioni federali del 24 settembre, sessanta giorni dopo si avvia a «vincere» il governo a lui più sgradito ma che metà partito auspica. Sempre che non fallisca l’ultima prova da statista sussidiario e apra la strada al governo monocolore a guida democristiana.

Nel caso, i deputati Cdu-Csu sarebbero in grado di rieleggere Merkel alla cancelleria al terzo scrutinio al Bundestag, dove è richiesta solo la maggioranza relativa. Ma rimane anche il rischio che Spd, Verdi e Linke possano convergere in blocco su Schulz, o su un altro candidato comune. In tutti i casi la decisione finale spetta ancora una volta al presidente Steinmeier: potrebbe non assecondare la formazione del governo e proclamare nuove elezioni.

Per questo Schulz ieri è stato costretto a «rimangiarsi» la parola e ora corre soprattutto il verbo del segretario generale Spd Hubertus Heil: «Nel partito ci siamo convinti che si debba tornare a parlare con Cdu e Csu. Non ci tireremo più indietro di fronte a nuovi colloqui», l’ammissione al termine dell’estenuante vertice notturno nel quartier generale di Berlino. In contemporanea il ministro della giustizia Heiko Maas spiegava così (alla tv) la retromarcia imposta a Schulz: «Non possiamo fare i capricci. Come i bambini».