«C’è qualcosa nella storia di Patrick Zaki che prende in modo particolare, ed è ricordare quando un innocente è in prigione. Questo l’ho provato anch’io e sarò sempre presente, almeno spiritualmente, quando si parla di libertà». La senatrice a vita Liliana Segre ha affrontato il viaggio da Milano a Roma, malgrado «le forze che non sono sempre brillantissime», per essere presente in Aula e votare l’ordine del giorno – approvato con 208 voti, nessun contrario e 33 astenuti (tra gli altri, i senatori di Fd’I) – che chiede al governo di concedere la cittadinanza italiana al ricercatore egiziano di 29 anni dell’università di Bologna, in detenzione preventiva dal 7 febbraio 2020 nel carcere di massima sicurezza di Tora, alla periferia del Cairo.

Giulio Regeni

Un atto simbolico, quello del Senato, ma importante, che cade nello stesso giorno in cui la procura di Roma deposita i verbali di altri tre testimonianze che accusano i quattro appartenenti ai servizi segreti egiziani di aver rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni. E nello stesso giorno in cui il deputato di Si Nicola Fratoianni presenta un’interrogazione parlamentare per chiedere ai ministri Lamorgese, Cartabia e Guerini di fare chiarezza sul caso di un militare egiziano accusato di tentata violenza sessuale a La Spezia che è riuscito a fuggire e rimpatriare poco prima di essere arrestato dalle forze dell’ordine italiane. L’uomo si trovava nella città ligure assieme ad altri commilitoni egiziani in attesa della consegna di una delle fregate Fremm vendute dall’Italia all’Egitto.

E DUNQUE SONO DIVENTATI otto, a questo punto, i testimoni attendibili (altri si sono presentati agli inquirenti ma sono stati scartati) che il procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco citeranno davanti al Gip nell’udienza preliminare fissata per il 29 aprile per chiedere il processo al generale Tariq Sabir, ad Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e a Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, indicato dai primi testi come il torturatore del ricercatore friulano. Da quanto si apprende dalle agenzie di stampa, i nuovi testimoni avrebbero apportato «nuovi elementi conoscitivi su fatti già acquisiti». In particolare, la conferma che i depistaggi dei servizi segreti cairoti iniziarono immediatamente, già il 2 febbraio 2016, ossia il giorno prima del ritrovamento del corpo di Giulio sulla strada tra Alessandria e Il Cairo.

Quel giorno infatti uno dei testimoni, che sostiene di essere diventato amico di Mohammed Abdallah, il capo del sindacato indipendente degli ambulanti che ha denunciato Regeni, ha riferito ai pm di aver visto Abdallah spaventato che gli confidò di aver appreso della morte di Giulio Regeni da un ufficiale di polizia nell’ufficio del commissariato di Dokki, dove stavano già ipotizzando «la soluzione per deviare l’attenzione da loro»: «quella di inscenare una rapina finita male». Regeni venne torturato per giorni nella stanza numero 13 di una villetta che secondo i testimoni sarebbe usata dagli 007 egiziani per torturare – e uccidere anche – gli oppositori al regime accusati di «tradimento».

LÌ AVREBBE POTUTO FINIRE probabilmente anche Patrick Zaki, l’attivista per i diritti umani detenuto da quasi 15 mesi con l’accusa di terrorismo e diffamazione dello Stato tramite i mass media. Se non è accaduto, come hanno spiegato ripetutamente i suoi migliori amici, è grazie alle pressioni internazionali e all’attenzione richiamata sul suo caso. Motivo per il quale l’ordine del giorno votato dal Senato, sia pur «simbolico e privo di effetti pratici a tutela dell’interessato», come ha spiegato in Aula la viceministra degli Affari esteri e vice presidente del Pd Marina Sereni, risulta comunque importante, anche perché nel testo si chiede al governo di sollecitare le autorità egiziane per la liberazione del ricercatore, di monitorare l’iter processuale e di attivarsi a livello europeo e in sede G7 sulla tutela dei diritti umani nel mondo.

Per Sereni invece «la concessione della cittadinanza a Zaki potrebbe addirittura rivelarsi controproducente», e l’Italia in ogni caso non potrebbe «fornire protezione consolare al giovane, essendo egli anche cittadino egiziano, visto che prevarrebbe la cittadinanza egiziana».

PER GLI AUTORI DELLA PETIZIONE «Station to Station» che su Change.org. ha raccolto 200 mila firme dall’inizio dell’anno, «il tempo delle promesse e delle buone intenzioni è scaduto, ora servono passi concreti per Zaki e per il rispetto dei diritti umani». A supporto della richiesta di accogliere come cittadino il ricercatore che aveva scelto l’Italia come Paese di adozione, ieri ha votato anche l’assemblea Capitolina con una mozione che vincola la sindaca Raggi a mobilitarsi presso il governo in questo senso.

Zaki purtroppo però non è l’unico innocente nelle carceri egiziane: 72 Ong internazionali hanno chiesto ieri al governo di Al Sisi il «rilascio immediato e incondizionato» dello studente e ricercatore (a Vienna) Ahmed Samir Santawy, 29 anni, detenuto in Egitto «arbitrariamente dal primo febbraio 2021 per false accuse di terrorismo». L’Italia non può più far finta di non vedere.