Sul manifesto del 2 luglio, con l’articolo «Garanti e intellettuali giù dal piedistallo», Guido Liguori muove alcune osservazioni critiche a un mio intervento su questo stesso giornale del 28 giugno. Più precisamente egli trova sbagliato l’eccesso di autorevolezza e peso politico che io avrei assegnato al Comitato dei garanti, nell’esperienza della formazione della lista «L’altra Europa con Tsipras» e soprattutto nella prospettazione di una formazione politica della sinistra modellata su quella architettura provvisoria. Intervengo non certo per rassicurare Liguori di non aver contratto un qualche virus di giacobinismo tardivo, né, ovviamente, per esibire certificati di pura fede democratica.

Credo che chiarire alcuni punti faccia bene alla discussione e soprattutto interessi i lettori del manifesto. Nell’articolo in questione, ho cercato di ricavare dall’esperienza politica ed elettorale della lista l’Altra Europa con Tsipras, gli insegnamenti più utili e meritevoli di essere valorizzati nel progetto di costruzione di una nuova forza politica. E i punti messi in rilievo erano quattro: il ruolo del comitato dei garanti, la funzione propulsiva dei comitati locali per la designazione dei candidati. A questo proposito ne ho esaltato i non comuni meriti, ricordando che «l’ascolto dei bisogni dei cittadini, nei loro territori, la loro partecipazione è il seme da cui si genera la pianta vitale della democrazia politica». Il terzo punto riguardava la necessità di una figura di leader (coordinatore, dirigente responsabile, o altro nome ) e infine l’urgenza di partire con una campagna di mobilitazione politica sul tema della disoccupazione giovanile.

Non aver tenuto conto dell’insieme dei punti, sviluppati peraltro con spirito problematico, credo che abbia indotto Liguori a forzare un po’ il senso delle mie considerazioni sul ruolo dei garanti. Nei confronti dei quali non ho mancato di muovere le mie critiche sia prima delle elezioni europee (manifesto del 29/03/2014) sia nello stesso articolo del 28 giugno. In questo caso mi sono limitato a un accenno sulla soluzione sbagliata del caso Spinelli, ma solo per non rinfocolare polemiche postume, non perché mi sia sfuggita la gravità di alcune scelte.
Quello che in effetti a me è apparso grave in tutta l’esperienza della formazione della lista è l’insensibilità umana e politica con cui alcuni membri del comitato guardano ai piccoli partiti della sinistra (Sel e Prc). È lecito dissentire dalle strategie e comportamenti di questi ultimi, ma quel che un militante o un intellettuale di sinistra non può dimenticare è che dietro quelle sigle c’è l’impegno volontario, il lavoro generoso di migliaia di uomini e donne che da anni spendono una parte della loro vita per un progetto di emancipazione collettiva. Su questa parte dell’analisi concordo pienamente con Liguori.

Tuttavia, il ruolo del comitato dei garanti resta un elemento importante, non solo per il ruolo svolto – a dispetto di tutti gli errori – ma anche per quello che può svolgere nel processo di formazione di un nuovo organismo politico. Nessuno si sogna di assegnare ad esso chissà quale primazia o autorità absoluta. Occorrerà studiare certamente forme di investitura democratica che non sono state possibili in precedenza. Ma io non lo liquiderei come una sorta di ingombro autoritario.

Liguori addirittura evoca lo spettro della «« trasposizione a sinistra della logica di un «governo dei tecnici». Io credo che in questo dissenso si nasconda la sottovalutazione di una grave questione che travaglia la sinistra radicale e popolare: noi non abbiamo soltanto il problema della partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica, di superare la tendenza all’oligarchia dei partiti. Non meno grave appare la necessità di arginare la frantumazione, la rissosità, lo spirito scissionistico, l’individualismo, il narcisismo che plasma ormai da decenni la soggettività plurale (diciamo cosi!) del popolo della sinistra.

Senza uno sforzo unitario non si arriva da nessuna parte. E non c’è alcun dubbio che un’autorevolezza riconosciuta nel campo degli studi, delle competenze professionali, della ricerca sociale, del giornalismo, etc costituisca un collante ideale in cui gruppi e formazioni politiche divise e disperse possano comunemente riconoscersi.
Un prestigio intellettuale guadagnato sul campo unisce, aggrega, attrae, genera consenso. Liguori, autorevole studioso di Gramsci, lo chiama in causa solo per ricordarci che egli non rivendicava uno status privilegiato per la figura degli intellettuali rispetto agli altri attori politici. Nulla da obiettare.

Avrebbe potuto però ricordarsi che Gramsci deve la sua viva attualità di pensatore soprattutto per aver elaborato il concetto di egemonia. Ora, poiché non faccio parte del comitato dei garanti e non ho ragioni personali da difendere, chiedo a Liguori: quale sarebbe oggi la forza, l’autorevolezza critica, il prestigio, la capacità di proposta della sinistra italiana senza gli scritti di Luciano Gallino, di Marco Revelli, di Guido Viale, di Barbara Spinelli? Senza far torto ovviamente ai tanti altri intellettuali che non sono nel comitato e che non hanno certo meno meriti. È proprio perché oggi manca l’intellettuale collettivo, incarnato in passato dal partito di massa, che noi dobbiamo trovare con i saperi «specialistici» un rapporto nuovo, democratico ma non tutto affidato alla spontaneità.

Occorre ricordare che spesso è il sapere che si organizza a creare poi l’iniziativa politica. Come avremmo potuto mettere in moto il referendum vittorioso sull’acqua pubblica senza le competenze giuridiche di Stefano Rodotà, di Ugo Mattei, di Alberto Lucarelli e gli altri ? Occorre creare un nuovo gruppo dirigente, rivendica giustamente Liguori. E non si crea a tavolino, ma nelle lotte, tra chi vi partecipa. Ma occorre un centro aggregatore, è necessario il quaglio perché il latte diventi formaggio.

Comitato o non comitato, la questione dei rapporti tra saperi, autorevolezza intellettuale e movimenti non è aggirabile. E la discussione è aperta.