La tempesta politica che imperversa all’interno di Sel ha almeno una causa fondamentale. Il progetto strategico di Vendola di costruire col Pd un nuovo centro-sinistra si è definitivamente esaurito. Nel pieno della crisi, anni 2010-2011, con la segreteria Bersani che tornava a dialogare con la sinistra, Vendola e, per la verità, anche alcuni di noi videro nella convergenza verso quel partito per un verso una necessità: impedire che si saldasse un’alleanza anche elettorale tra il maggiore partito del centro-sinistra e il centro di Casini e poi di Monti. Per un altro verso quella strada appariva come un percorso responsabile per affrontare le devastazioni sociali della crisi, rafforzando un progetto riformatore di difesa e rilancio degli interessi popolari. Com’è noto, le primarie andarono male,(emerse allora la figura di Renzi), le elezioni del 2013 peggio, il Pd diede le peggiori prove della sua breve storia con il “tradimento” dei 101, rendendo poi stabile la collaborazione con Berlusconi e infine con Alfano. Anche se da quella alleanza, bisogna dire, mentre tramontava il progetto politico, Sel qualcosa incassava: non solo la presidenza Boldrini alla Camera, ma anche un bel po’ di deputati e senatori (alcuni dei quali ora lasciano Sel) che probabilmente non sarebbero mai entrati in Parlamento.

Dal fallimento di quel disegno il gruppo dirigente di Sel non ha saputo uscire tempestivamente con un nuovo progetto capace di rinverdire gli esordi innovatori del partito (le “fabbriche di Nichi”, ecc.), mentre la figura di Vendola è rimasta schiacciata sotto le macerie della vicenda dell’Ilva di Taranto.

Per la verità, all’ultimo congresso, la scelta di appoggiare la lista Tsipras ha costituito un punto di svolta: tardivo per le vicende interne di Sel, ma non per la Sinistra nel suo insieme. Ed è da questo ultimo punto che mi sembra importante partire. Per il resto è prevedibile che i transfughi saranno centrifugati in breve tempo. Chi pensa di continuare quella esperienza esaurita finge o non ha capito. Col Pd di Renzi si potrà dialogare su singoli punti, da lontano e da posizioni di forza.
La riflessione avviata da Alberto Asor Rosa (“Matteo Renzi, un leader postdemocratico”, il manifesto 17 giugno ) e i successivi interventi, tra cui quelli di Norma Rangeri e Marco Revelli (il manifesto, 21 e 22. giugno) stabiliscono alcuni punti fermi sulla situazione italiana entro cui svolgere ulteriori approfondimenti. Il primo ambito da prendere in considerazione riguarda la vicenda della costituzione della lista “l’Altra Europa con Tsipras”. In questa esperienza (al di là di alcune manchevolezze ed errori gravi, soprattutto il trattamento riservato a Sel nella vicenda della candidatura Spinelli) si trovano insegnamenti preziosi da cui sarebbe stolto prescindere. Come già altri hanno sottolineato, i comitati per la designazione dei candidati alle elezioni europee hanno fornito una prova di efficienza operativa fuori dal comune.

Certo, la geografia dell’impegno e della capacità di mobilitazione non è uniforme su tutto il territorio nazionale e i problemi non sono mancati. Ma la raccolta di 150.000 firme in così poco tempo e il conseguimento del quorum alle elezioni mandano a tutti noi un segnale: allorché si tratta di raggiungere un obiettivo chiaro e credibile, dai serbatoi latenti della nostra società scatta una energia vitale inconsueta, capace di superare divisioni, debolezze, vecchi e intramontabili individualismi. Lo sapevamo dai referendum per l’acqua pubblica, oggi lo riapprendiamo per un obiettivo più circoscritto. L’ascolto dei bisogni dei cittadini, nei loro territori, la loro partecipazione è il seme da cui si genera la pianta vitale della democrazia politica.

Un altro insegnamento riguarda il Comitato dei garanti. Pur fra tanti errori e defezioni sconcertanti, abbiamo appreso una lezione importante: un gruppo di personalità intellettualmente autorevoli ha costituito un punto di riferimento accettato pressoché da tutti i protagonisti di una vasta area politica. Dalla fluidità caotica della sinistra dispersa si è formato un coagulo solido che ha messo in moto la macchina. Un principio d’autorità autocostituitosi che ha avviato un processo collettivo. Questo significa che in Italia esiste un gruppo di personalità riconosciute e rispettate, (ovviamente più ampio di quello del Comitato) al di sopra di ogni sospetto, che può costituire la garanzia e il centro di attrazione, una sorte di “nucleo nobile di rappresentanza” di una nuova formazione politica. Con una avvertenza: una stima pubblica così ampia dovrebbe oggi fornire a tali personalità la misura di quali aspettative di coerenza e impegno, ricerca dell’unità esse creano nel vasto popolo della sinistra. I suoi membri vengono infatti a caricarsi di una responsabilità politica rilevante, cui deve corrispondere una serietà di vincoli e comportamenti unitari che ancora, per la verità, non si avvistano. Un comitato di garanti non risolve, però, un altro grave problema che il progetto di una nuova formazione politica ha di fronte: quello del leader.

Si tratta di una grande questione. Tutti possiamo osservare, soprattutto in Italia, la regressione “secolare” della politica, così come si imprime nella morfologia e nella vicenda recente dei partiti. Il Pd era l’unica grande formazione governata da un gruppo dirigente. Anch’esso è capitolato: è diventato il partito di un capo. Avviene nei partiti quel che molecolarmente opera nelle istituzioni statali: si punta a concentrare e ridurre il potere delle decisioni in poche mani, sopprimendo gli spazi della democrazia e della discussione che rallentano il ritmo delle decisioni. E dunque sistemi elettorali maggioritari, presidenzialismo, ecc. Si è consumata da tempo quel che Zygmunt Bauman ha definito la «separazione tra politica e potere», dove il potere è quello invisibile e cosmopolitico del capitale.

Con ogni evidenza, siamo di fronte alla rivincita surrogatoria del ceto politico. In una fase storica in cui il potere è trasmigrato dallo Stato e dalla politica alle imprese e alla finanza, partiti e Stato cercano di riprendersi spazi di manovra riducendo quelli della rappresentanza e della partecipazione. Si rivalgono sui cittadini e sulla democrazia. Scendendo per li rami, osserviamo come anche i cittadini che non disertano le urne affidano i loro voti non certo agli odiati e opachi partiti, ma a un leader salvifico. Dunque, contrariamente alle nostre aspettative storiche e ideali, anche noi abbiamo bisogno di un leader. Nella “Sociologia del partito politico” (1912) Robert Michels definiva tale figura «una necessità tecnica» nella vita dei partiti. Sono passati cent’anni e siamo ancora a questo punto.

Se non un capo, la nuova formazione dovrebbe avere la guida di un dirigente di alto profilo in un collettivo. Alexis Tsipras ci rappresenta in Europa, ma non è la soluzione dei nostri problemi, che dobbiamo risolvere in casa nostra con i nostri uomini e donne.

Altra vasta questione: come procedere? Quali programmi? Vorrei ricordare preliminarmente un aspetto misconosciuto, coperto spesso dal dileggio della grande stampa. Io credo che mai come oggi le idee e i valori della sinistra siano stati in così piena sintonia con i bisogni e le aspirazioni universali dell’umanità. Dalla rinascita dei valori dell’uguaglianza e della solidarietà ai temi dell’accoglienza e del dialogo interculturale, dalla rivendicazione dei diritti individuali in un campo amplissimo di ambiti, ai temi dei beni comuni, dalla indicazione di nuove forme di economia e consumo alle questioni della rigenerazione delle risorse, della protezione della natura e del territorio. Dispersi in una costellazione pulviscolare di associazioni e movimenti questi temi fecondano la società e parte dell’immaginario nazionale, ma si muovono in una terra di nessuno, senza un soggetto politico che se li intesti e li faccia diventare materia di un progetto culturale egemonico, vincente sul deserto ideale generato dal capitalismo contemporaneo.

Infine, c’è un problema più grave oggi di fronte a noi della disoccupazione? Potremmo partire da quella giovanile, la più grave forma di umana umiliazione che un paio di generazioni subisce oggi in Italia. Ricordo che dentro c’è anche la disoccupazione intellettuale: il fiore fiore della nostra intelligenza, la futura élite dirigente del paese è chiusa in un angolo. Non abbiamo in mano grandi leve, ma potremmo avviare una vasta campagna nazionale, impegnando alcuni mesi esclusivamente su questo tema, creando un vasto agorà mediatico in cui confluiscano i cahiers de doléances dei nostri ragazzi, i suggerimenti, le proposte, rendendo protagonisti i cittadini, facendoci identificare come la formazione politica che rappresenta la gioventù in un passaggio grave della sua storia e non si frantuma in litigiosi correnti, gruppi e gruppetti.