L’articolo di Piero Bevilacqua (il manifesto, 28 giugno), ha il merito di ricordare alcuni temi che sono di fronte all’insieme di forze che hanno dato vita alla bella esperienza della Lista Tsipras.

Alcune ipotesi che egli formula per continuare questa esperienza mi sembrano però lontane dalla realtà che abbiamo vissuto negli ultimi mesi. Il principale punto che egli affronta riguarda il ruolo dei “garanti” e il suo futuro. Nessuno nega che l’iniziativa “giacobina” da essi assunta abbia avuto il merito di rendere possibile una coalizione di forze altrimenti difficile da realizzare (pur non dimenticando che sarebbe potuta essere più vasta, senza preclusioni ingiuste e che si è rischiato di pagare caro).

Piero Bevilacqua però scrive che i “garanti” sono «un gruppo di personalità intellettualmente autorevoli… al di sopra di ogni sospetto che può costituire la garanzia e il centro di attrazione, una sorta di ’nucleo nobile di rappresentanza’ di una nuova formazione politica», sia pure rivisto e ampliato rispetto a quello iniziale. Si propone in un sol colpo l’estensione senza limiti della “situazione emergenziale” in cui è nata la Lista e la trasposizione a sinistra della logica del “governo dei tecnici”, qui ribattezzati “personalità intellettualmente autorevoli”. Senza dire di una rappresentanza che si proclama tale in quanto si autodefinisce “nobile”.
Senza scomodare Rossana Rossanda, che ebbe a scrivere giustamente (e lo ricordo anche tenendo conto della lezione di Gramsci, tanto spesso fraintesa) che gli intellettuali non possono pretendere uno status privilegiato ma sono, sul piano della formazione della volontà politica collettiva, semplici compagni tra i compagni. Voglio partire dall’esperienza a cui ho partecipato nell’Università della Calabria, dove insegno, nella convinzione che essa sia tutt’altro che unica e isolata. Ebbene, il comitato di sostegno alla Lista Tsipras che abbiamo formato alla Unical ha visto partecipare a pari titolo docenti, studenti, ricercatori precari e altre compagne e altri compagni (a nessuno, in ogni caso, è stato chiesto il discutibile titolo di “intellettuale autorevole”). È stata una esperienza non settaria, mobilitante, inclusiva, coinvolgente, generosa. Va aggiunto che parte fondamentale in essa hanno avuto i militanti delle formazioni politiche esistenti (in primo del Prc, ma non solo), che si sono letteralmente messi al servizio di candidati anche non del loro partito, ospitandoli, portandoli in giro, organizzando per loro incontri e iniziative. Senza il Prc e senza Sel non si sarebbero neanche raccolte le firme necessarie per presentare le liste. E lo dice uno che dopo la morte del Pci, non è più stato iscritto a nessun partito.

Ora, il problema è il seguente: le migliaia di compagne e compagni che, ovunque in Italia, hanno con la loro mobilitazione reso possibile il risultato del 25 maggio devono essere posti sotto tutela, entrando a far parte di una nuova forza politica in nuce (la cui struttura è tutta da discutere), che comunque dovrà essere diretta da “intellettuali autorevoli” autoproclamatisi tali e proclamati “nucleo nobile di rappresentanza”? Se, come Bevilacqua sostiene, essi sono da tutti riconosciuti come punto di riferimento (gruppo dirigente), si sottopongano a una ovvia verifica democratica della base. Per evitare le fallimentari esperienze del passato, il principio è quello della nomina dal basso, secondo il principio “una testa un voto”. Altre strade non riuscirebbero a non essere o a non apparire autoritarie ed elitarie.

Anche sugli altri importanti temi sollevati da Bevilacqua si dovrà tornare: dal problema non banale della leadership nella politica odierna (che per noi è, appunto, un problema e non può non esserlo); al tema dei programmi, e in primo luogo, io credo, di un “programma fondamentale” della nuova forza politica che dica al paese non le dieci cose che faremmo subito se ne avessimo la forza, ma quale tipo di società e di Stato proponiamo e ci impegniamo a propugnare non nel prossimo anno o alle prossime elezioni, ma per i prossimi due-tre decenni.
La discussione di massa che dovrebbe mettere a punto questo programma fondamentale sarebbe forse anche la strada migliore per costituire un gruppo dirigente tendenzialmente omogeneo, che superi in modo nuovo la prevalenza delle leadership personali e in genere il processo di personalizzazione della politica e passivizzazione di massa oggi prevalenti.
* Università della Calabria