Tra oggi e domani il Consiglio dei ministri approverà, in esame preliminare, il decreto che ridisegna i collegi nei quali si andrà a votare per la camera e il senato nel 2018. Martedì la commissione tecnica nominata da palazzo Chigi il 15 novembre scorso ha concluso il suo lavoro. Appena sei giorni, sabato e domenica inclusi, quando le precedenti commissioni avevano impiegato mesi. In realtà i commissari (tre geografi, tre statistici, un sociologo e due politologi, presidente il numero uno dell’Istat Alleva) avevano cominciato ad affrontare il problema a fine ottobre, in un gruppo di lavoro (stessa identica composizione della commissione) nominato addirittura prima che il Rosatellum venisse approvato definitivamente dal senato (escamotage consentito da un ordine del giorno Pd passato un po’ in sordina alla camera).

Anche l’insolito lasso di tempo trascorso tra la firma del presidente della Repubblica che ha promulgato la nuova legge elettorale (3 novembre) e la sua entrata in vigore con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale (12 novembre) ha regalato qualche giorno in più al governo per ridisegnare i collegi: la scadenza prevista nella delega è infatti di trenta giorni dall’entrata in vigore (quindi 12 dicembre). Tutto questo testimonia la grande difficoltà incontrata dai tecnici, malgrado il Rosatellum, prevedendo complicazioni, avesse consentito uno scostamento dalla media della popolazione dei collegi del 20 per cento, il doppio rispetto alle precedenti leggi elettorali. E in effetti se la trasposizione dal senato alla camera dei 232 vecchi collegi uninominali introdotti nel 1993 (sulla base della popolazione del 1991) per il Mattarellum non ha presentato difficoltà eccessive (al senato gli uninominali sono 109), assai più complicato si è rivelato il lavoro sui collegi plurinominali proporzionali.

Questi, secondo la legge, devono essere composti dall’aggregazione di due o più collegi uninominali contigui. Ma il numero di deputati (o senatori) assegnati a una circoscrizione è stabilito sulla base della popolazione di quella circoscrizione (censimento 2011): in venti anni le regioni del sud si sono spopolate a vantaggio di quelle del nord. Con un numero di seggi da assegnare a ogni collegio proporzionale prestabilito dalla legge (minimo 3 massimo 8) non sempre è risultato possibile rispettare il criterio della contiguità tra collegi uninominali. Anche per ridurre questo genere di difficoltà, la commissione dovrebbe essersi orientata a disegnare un numero basso di collegi proporzionali, più vicino a 60 che a 70; collegi molto grandi da quasi un milione di abitanti per la camera e due al senato. Il che concretamente vorrà dire che ogni partito avrà a disposizione un numero molto basso di candidati, tra proporzionale e uninominale; per il gioco della pluricandidature alla camera una piccola lista potrebbero proporre anche solo cento nomi per tutto il territorio nazionale.

Sul fatto che il disegno dei collegi possa favorire questa o quella lista (gerrymandering) sono naturalmente avvertite le forze politiche. E dunque anche i ministri dei diversi partiti alleati, che ieri a margine del consiglio dei ministri hanno cominciato a sollevare richieste e obiezioni incrociate. La gran parte delle quali tornerà nel corso dell’iter previsto dalle delega. Le commissioni affari costituzionali di camera e senato hanno quindici giorni per avanzare proposte di modifica allo schema firmato dalla commissione. Ecco perché la bozza di decreto dev’essere trasmessa al parlamento entro la fine di questa settimana. L’ultima parola, però, anche in caso di aperto dissenso