Si dubita della loro competenza, naso e palato eppure i coloni dell’insediamento israeliano di Psagot, nei pressi di Ramallah, si lanciano in lodi sperticate dei loro vini. Esaltano il «Pompeo», un blend di Cabernet, Merlot e Shiraz che hanno dedicato a Mike Pompeo. Un omaggio al segretario di Stato uscente che circa un anno fa affermò, a nome dell’Amministrazione Trump, la «non incompatibilità» degli insediamenti coloniali con il diritto internazionale, contro il parere di gran parte del mondo. Pompeo ieri ha ringraziato di persona i coloni di Psagot, diventando il primo alto rappresentante statunitense a visitare un insediamento ebraico costruito nei Territori palestinesi occupati. Ha brindato, ovviamente, con il «Pompeo» tra applausi e grida di felicità. Quindi si è lanciato in annunci e dichiarazioni che lasceranno il segno. Sono stati i primi discorsi, si sussura, da aspirante candidato repubblicano alle presidenziali del 2024.

La colonia israeliana di Psagot

Il vino simbolo riconosciuto di saggezza e letizia non è mai stato tanto motivo di scontro e animosità come a Psagot. I 78 ettari di terra dove sorgono questa colonia e i suoi vigneti sono quasi interamente di proprietà privata palestinese. Amal e Keinat Quran, due sorelle, e la loro cugina Karima, posseggono i documenti ufficiali che lo dimostrano. Un pezzo di Psagot occupa le terre

di Huria Quran, un’altra parente. In totale sono una dozzina le famiglie palestinesi di Al bireh spogliate dei loro averi. Quei documenti per i coloni sono carta straccia, sono privi di valore di fronte al racconto biblico, l’unica «legge» che conta per loro. I palestinesi che vivono lì intorno sono elementi decorativi del paesaggio. Il centro turistico di Psagot neppure li nomina.

Mike Pompeo, amico della famiglia Berg e dei fratelli Falic proprietari della casa vinicola di Psagot, è dalla parte dei coloni ai quali ieri ha donato un annuncio e un attacco durissimo all’Unione europea. Al termine della sua visita all’insediamento, il dipartimento di Stato ha comunicato che i prodotti delle colonie saranno commercializzati negli Stati uniti con la dicitura Made in

Israel. «Gli sforzi nefasti dell’etichettatura della Ue facilitano il boicottaggio delle aziende israeliane. Gli Usa sono a fianco di Israele e non tollereranno alcuna delegittimazione», aveva avvertito poco prima Pompeo riferendosi a una storica sentenza della Corte di giustizia europea. A tutela dei consumatori, l’Ue richiede che i vini e tutte le merci prodotte dalle colonie non siano commercializzati in Europa con il Made in Israel bensì con un’etichetta che precisi la loro provenienza dalla Cisgiordania occupata.

Una sentenza che a Psagot, come in tutte le altre colonie, hanno accolto con rabbia, accompagnandola non poche volte con l’accusa di «antisemitismo». Accusa che gli Stati uniti ora, grazie a Pompeo e all’Amministrazione Trump, scagliano in via ufficiale sul Bds, il movimento internazionale che promuove il boicottaggio di Israele per le sue politiche nei confronti dei palestinesi. Il nuovo passo americano annuncia sanzioni non meglio precisate nei confronti degli attivisti del Bds. Pompeo inoltre non ha voluto far torto alle colonie sulle Alture del Golan, territorio siriano riconosciuto da Donald Trump come parte di Israele. «Non puoi stare qui e guardare cosa c’è oltre confine e negare la cosa centrale che il presidente Trump ha riconosciuto…questa è parte di Israele… Immaginatevi a che pericoli gli abitanti di Israele e l’occidente sarebbero stati esposti se il Golan fosse stato restituito alla Siria e Assad governasse qui», ha affermato Pompeo mentre il ministro degli esteri israeliano Gabi Ashkenazi descriveva come «storica» la visita del segretario di Stato sul Golan. «Visita provocatoria», hanno replicato da Damasco.

Provocatorio Pompeo lo è stato anche per i palestinesi. La visita a Psagot e il riconoscimento da parte degli Usa dei prodotti  delle colonie come Made in Israel, sono una «violazione palese del diritto internazionale», ha protestato Nabil Abu Rudeinah, portavoce della presidenza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Le sue parole non hanno scaldato gli animi dei palestinesi che giudicano l’Anp sempre meno credibile. In Cisgiordania è stata accolta gelidamente la decisione del presidente Abu Mazen di rilanciare il dialogo con gli Usa e, più di tutto, la cooperazione con Israele interrotta a maggio in segno di protesta contro il piano di annessione di Netanyahu. Secondo indiscrezioni ora i vertici dell’Anp sarebbero pronti a ridurre e a ridefinire i sussidi governativi elargiti ai prigionieri politici palestinesi e alle loro famiglie, andando così incontro alle condizioni poste dal governo israeliano che li considera un «incentivo al terrorismo».