I fatti di Genova di Gabriele Proglio (Donzelli, pp. 337, euro 16) riesce a penetrare laddove non era arrivato il profluvio di immagini che fanno apparire ancora oggi quel G8 come un evento in presa diretta nonostante siano trascorsi vent’anni. Sviscera le motivazioni profonde che spinsero molti giovani a mettersi in marcia per il capoluogo ligure in quelle calde giornate di metà luglio e a resistere nelle piazze nonostante la repressione. Serve inoltre a consolidare un racconto collettivo di quelle giornate, componendo con sapienza un puzzle di ricostruzioni soggettive che non sarebbero altrimenti mai tornate alla luce. Ne viene fuori altresì il ritratto di una generazione segnata da una brutale esperienza diretta, come in pochi casi è accaduto nella storia recente.

Proglio ha il vantaggio di farlo da una distanza temporale che è ancora troppo breve perché quell’evento sia consegnato alla storia ma che risulta giusta per una narrazione orale ancora calda ma sfrondata degli eccessi dell’immediatezza.

«Uno dei modi di leggere questo libro è anche di scrutare fra le righe cercando l’impatto del tempo sulla ricostruzione presente dei fatti», spiega Alessandro Portelli nell’introduzione. Ad esempio, Sara aveva vent’anni quando partecipò alle manifestazioni, oggi che ne ha il doppio non è con esattezza la stessa persona di allora ma le è rimasta «quella sensazione lì, di essersi occupati al tempo di tematiche cruciali che poi sono andate un po’ in stand by».

EVAPORATO quel movimento, le questioni che poneva sono rimaste tutte aperte e tuttora attuali. Di cosa parlano i licenziamenti collettivi di questo luglio rovente sul piano del lavoro – alla Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto come alla Gkn di Campi Bisenzio – se non del capitalismo finanziario alla testa delle imprese che decide dove, come e quando investire i profitti ottenuti non dal lavoro ma dai soldi stessi? Cos’è la proposta di tassare le multinazionali se non un tentativo minimo di regolare un settore che fu la ragione principale dell’esplosione di quello che all’epoca fu definito «movimento dei movimenti»? Proglio ne ricorda la nascita, ben prima di Genova e pure di Seattle, a Edimburgo per protestare contro l’organizzazione mondiale del commercio, e poi le numerose tappe che lo condussero in Italia e oltre.

Fa bene a non ridurre quel movimento alle giornate genovesi che ne furono l’apice, così come a non cedere alla tentazione di confinarlo all’interno del nostro Paese e alle tensioni sociali dettate dal – all’epoca – recente arrivo al governo dei post-fascisti di Alleanza nazionale e della Lega post-secessionista, con la presenza mai chiarita del vicepremier Gianfranco Fini in prefettura e nella caserma dei carabinieri di Forte San Giuliano.

Il libro prova a far dialogare le fonti orali con il racconto mediatico di Genova 2001. Lo fa intrecciando la cronaca con i ricordi personali e persino gli stati d’animo di chi stava da una parte della barricata, quella dei manifestanti che contestavano il G8. È in questo modo che pian piano si consolida una memoria condivisa che rischiava di rimanere sepolta nel cimitero delle vicende personali mai trasmesse o delle rimozioni silenziose.

GENOVA fu anche un trauma collettivo, molti di coloro che erano in piazza dopo la repressione si ritirarono dalla partecipazione attiva, altri ne hanno fatto un motivo di impegno e militanza ulteriori, qualcuno ne ha avuto la vita segnata. Storie come quelle raccolte da Proglio diventano oggi persino più necessarie delle immagini che ci riportano a quei giorni. Saranno utili, un giorno, pure agli storici che avranno il compito di ricostruire un evento che più di altri battezzò la nascita del nuovo millennio.