Doveva essere il lancio trionfale del May II, il nuovo monocolore dalla leadership forte e stabile che avrebbe sospinto l’economia e le leggi del Paese fuori dal giogo europeo e nel Valhalla tariffario del liberoscambismo assoluto. Ma il Queen’s speech di ieri mattina, la riapertura dei lavori a Westminster dopo la lettura della regina del programma di governo – 64ma esperienza del genere per Elisabetta II, – è stata invece l’umile varo di una barchetta dallo scafo rappezzato e tenuta a galla da un accordo con il Dup ancora non ufficializzato dopo undici giorni. C’è poco da rimproverare alla Windsor, che non vedeva l’ora di fuggirsene ad Ascot: il programma che ha letto nella House of Lords non ha nessuna certezza di vedere la luce. La regina era accompagnata dal figlio settantenne Charles in assenza del marito, in osservazione ospedaliera precauzionale.

LO SPEECH è stato imperniato tutto sulla British Exit, essendo venuto meno il sostegno politico per le altre più controverse iniziative. Sono state omesse la reintroduzione delle vetuste grammar school, il voto sull’improrogabile reintroduzione della caccia alla volpe come anche le più osteggiate misure di tagli alla spesa sociale per gli anziani.

Tra le ventisette proposte di legge in tutto del documento, otto sovrintendono la gestione dell’uscita dall’Ue. Richiederanno un parlamento biennale e per questo il Queen’s speech dell’anno prossimo è stato cancellato. Tra esse il Repeal Bill, che dovrebbe «nazionalizzare» le leggi Ue in modo da evitare una terra di nessuno giuridica dopo l’uscita; una legge sulle dogane, che permetta al Paese di imporre le proprie tariffe commerciali al posto di quelle europee, una proposta sul commercio, una che restituisca il controllo sulla pesca – assai importante in Scozia – e un’altra sull’agricoltura. Quella – fondamentale – sull’immigrazione da promulgarsi una volta eliminata la libera circolazione delle persone, resta volutamente vaga. Nessuna di queste ha inoltre la certezza di diventare legge, o perché soggetta alle negoziazioni con Bruxelles, o per via dall’esigua maggioranza.

SONO CONFERMATI i tagli ai costi delle utenze domestiche, anche se non è specificato come avverranno, un effetto della contrarietà del ministro delle finanze Hammond nei confronti di questa misura. Non c’è stata una nuova legislazione sull’antiterrorismo, ma la revisione di quella esistente. Assente anche il minimo accenno alla controversa visita di stato di Trump, annunciata da mesi ma che non sarebbe accolta bene dall’opinione pubblica nazionale. Confermata anche l’annunciata commissione d’inchiesta sulla tragedia di Grenfell.

Di solito, i governi di minoranza legiferano poco proprio perché tali, mentre questo dovrà legiferare il triplo accentrando su di sé un potere enorme in un momento incredibilmente delicato, fatto che apre il fianco a una denuncia di deficit democratico e a una dura opposizione.

 

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IL DIBATTITO IN AULA successivo ha riflesso la stupefacente trasformazione degli equilibri, con May contrita e verdognola mentre Corbyn si concedeva inaudite frecciate sadiche all’indirizzo del governo. Il segretario laburista, ancora una volta additato al pubblico ludibrio dai media per non aver chinato il capo al cospetto della monarca mentre faceva il suo ingresso ai Lord (non era affatto tenuto), ha aperto il proprio intervento denunciando le morti di Grenfell. Si è scagliato contro i tagli alla polizia e alla sanità voluti proprio da May e che tanto hanno pesato nelle risposte date nelle scorse settimane a emergenze terroristiche e non. Ha stigmatizzato l’umiliazione di un accordo con il Dup e la sua pericolosità per il processo di pace in Irlanda del Nord. Ha infine fatto voto di opposizione dura contro un governo che non intende finirla con l’austerità e ha ancora una volta definito la propria opposizione un «governo in attesa». Incalzata da Corbyn la May ha fatto mea culpa sull’incendio a Grenfell, ammettendo in particolare che «il sostegno alle famiglie nelle ore iniziali non è stato abbastanza buono». Troppa gente, ha riconosciuto, «è stata lasciata senza assistenza, senza un tetto, senza informazioni basilari», per concludere pesantemente: «C’è stato un fallimento dello Stato, a livello sia nazionale sia locale, del quale come primo ministro io chiedo scusa»,

È UN QUADRO NEFASTO per i Tories. La prima ministra di sua maestà ha un mandato risibile, dovuto al punitivo risultato elettorale. Si è dovuta piegare a un rimpasto di governo che richiamasse nemici fidati come il chancellor Philip Hammond, e ha dovuto licenziare tutto il suo entourage. Soprattutto, sta negoziando con i dieci coriacei bigotti del Dup, che di negoziazioni se ne intendono e non ha ancora finalizzato questo accordo per un governo di minoranza con i loro deputati. Vogliono soprattutto soldi, ovviamente: un paio di miliardi.

Anche per questo quella di ieri non poteva che essere una cerimonia in tono dimesso.