Appena dopo l’annuncio della costituzione di un giurì sul Russiagate, l’amministrazione Trump, come ampiamente promesso e ribadito, ha reso noto ieri di aver comunicato all’ONU l’intenzione di voler ritirarsi dall’Accordo di Parigi.

La nota esprime l’intenzione di voler “rinegoziare” i termini dell’accordo – cosa però non prevista dall’Accordo – e si cita come obiettivo un uso “più efficiente e pulito” dei combustibili fossili. Che è il vero tema del programma America First, anche se il tono della nota è meno assertivo e aggressivo di quello usato in campagna elettorale.

A quest’annuncio fa da contraltare il disaccordo oltre una dozzina di governatori di stati, capeggiati dalla California, che rappresentano circa 130 milioni di cittadini statunitensi.

L’annuncio cade, in un agosto segnato da onde di calore e incendi a sud e bombe d’acqua a nord, mentre i dati della regione artica segnalano il quinto dato peggiore dal 1979 a oggi in termini di area coperta da ghiacci.

Alle preoccupazioni per l’aumento e l’intensificazione dei fenomeni climatici estremi – siccità prolungate e più frequenti, alluvioni e uragani – si aggiungono quelle per l’impatto diretto sulla salute umana.

Proprio ieri, la rivista Lancet ha pubblicato un rapporto sull’impatto dei cambiamenti climatici in termini di morti dovuti ai fenomeni estremi: se la media annuale – tra il 1981 e il 2010 – è stata di 3mila vittime ma, continuando di questo passo, la media a fine secolo potrà crescere a 152mila vittime climatiche all’anno.

Come se non bastasse, ci sono poi le vittime legate all’inquinamento: l’aumento delle temperature medie e quello dell’umidità, infatti, impatta sui livelli di inquinamento dell’aria. Secondo un nuovo studio pubblicato dell’Università della Carolina del Nord su Nature Climate Change, l’effetto è stimabile in 60mila nuovi casi di morti premature al 2030 che salirebbero, se non cambiano le cose, a 260 mila alla fine del secolo.

Fenomeni estremi e peggioramento della qualità dell’aria non sono gli unici impatti del cambiamento climatico: l’alterazione del ciclo dell’acqua renderà progressivamente più a rischio intere aree del pianeta, alcune per la crescente scarsità altre per precipitazioni aumentate e distruttive. E faranno crescere ulteriormente la pressione migratoria.

Nel Mediterraneo – con l’aumentare della temperatura superficiale del mare – sono visibili da qualche anno i cosiddetti “medicane” – uragani mediterranei – che somigliano in piccolo a quelli che si sviluppano nel Golfo del Messico, ma avvengono in tempi più rapidi e in dimensioni più ridotte, e meno prevedibili con conseguenze localmente distruttive (con venti fino a 135 km/h).

Segnali positivi continuano ad arrivare da diverse parti. Ad esempio in California è in discussione un piano per il 100 per cento di energia rinnovabile – non solo elettricità, tutti gli usi energetici – entro il 2045. In Scozia sta sorgendo il primo impianto eolico galleggiante, installato dalla major petrolifera norvegese Statoil; questa tecnologia potrebbe cambiare l’intero mercato dell’energia se si proverà affidabile. Nel Regno Unito Ikea, in collaborazione con Solarcentury, venderà pannelli solari e batterie residenziali nei suoi negozi.

A settembre uscirà il sequel del film di Al Gore An Inconvenient Sequel: Truth to Power nel quale, oltre ad aggiornare le informazioni sui cambiamenti climatici si riportano storie di successo della rivoluzione energetica in corso. “C’è una fondata speranza che gli USA manterranno gli impegni presi a Parigi, nonostante Doland Trump”, ha detto Gore presentando il fila a San Francisco.

Venendo all’Italia – la proposta di Strategia Energetica presentata dal ministro Calenda – sembra puntare più al gas naturale che alle rinnovabili. Al 2030 nel settore elettrico si prevede un 45-50% di rinnovabili; l’anno scorso l’Ad di Enel Francesco Starace indicava come fattibile il 60%.

Per molti aspetti la proposta di Strategia appare una sorta di “linea maginot” a difesa delle quote di mercato del gas. Vedremo se le osservazioni da presentare entro fine mese e il dibattito che ne seguirà potrà portare a un risultato più serio, più rinnovabile e meno “gasato”.

*Direttore di Greenpeace Italia