Alla fine alla camera il Pd non partecipa al voto sulla missione libica numero 4, quella che prevede gli accordi di «supporto» alla Guardia costiera libica. La decisione arriva di mattino. Ma ci vuole tempo per riscrivere in modalità «unitaria» la risoluzione, quella che Lorenzo Guerini chiama «un positivo punto di convergenza». Poi in aula serve tutta la disinvoltura di Piero Fassino per annunciare una linea diversa da quella che lui stesso ha sostenuto meno di 24 ore prima nella sala Berlinguer, di fronte ai colleghi. Oggetto del contendere, la collaborazione dell’Italia con le corvette libiche, a loro volta dono del nostro paese e frutto di un accordo che risale al governo Gentiloni e al ministro Minniti. Il Pd cambia linea, dunque, ma deve procedere con alcune contorsioni per non smentire l’operato dei due, oggi peraltro ’grandi elettori’ di Zingaretti. «Nel momento in cui rinnoviamo il consenso alle missioni», spiega dunque Fassino, «non possiamo non rilevare l’assenza di un’iniziativa politica italiana all’altezza della drammaticità della crisi libica, che conosce un aggravamento con l’offensiva militare del generale Haftar» (è di poco prima la notizia del bombardamento del campo di detenzione per immigrati a Tripoli). Il Pd chiede corridoi umanitari e lo svuotamento dei campi e non partecipa al voto sull’assistenza tecnica alla Guardia Costiera libica «la cui attività nell’attuale contesto bellico appare equivoco e opaco». Più tardi Zingaretti per la prima volta interverrà sull’argomento apprezzando il voto dei suoi deputati, ma con una riflessione che suona più preoccupata per gli equilibri interni del Pd che per la crisi di Tripoli: «Il Pd è unito nel sostenere le scelte del governo Gentiloni», assicura, e se «il quadro è cambiato è colpa dell’attuale governo».

Chi a suo tempo non era d’accordo con le scelte del Pd oggi apprezza, con sfumature diverse, il cambio di marcia. Così fanno Laura Boldrini, Nicola Fratoianni e Federico Fornaro, di Leu. Che non sia un vero strappo con il passato lo sa anche Matteo Orfini, il primo a chiedere un ripensamento al suo partito; oggi porta a casa, dice all’Huffington Post, «un riconoscimento del fatto che non si può continuare a sostenere semplicemente quanto abbiamo sostenuto in passato». Non è poco.

Ma oggi che il Libia c’è la guerra civile a quel passato bisogna tornare. Il giudizio di Riccardo Magi (+Europa) è duro: «Ormai è innegabile che la linea perseguita dal 2017 dall’Italia non ha favorito alcuna stabilizzazione in Libia né l’avvio di alcuna transizione. Cosa deve ancora avvenire affinché il parlamento sospenda quegli accordi?», chiede. «Non siamo velleitari noi che non abbiamo mai creduto che quegli accordi fossero la strategia giusta, è velleitario, a non volere pensare male, chi ha sostenuto che le fragili e via via più inconsistenti istituzioni libiche, potessero affrontare una grave crisi umanitaria senza la violazione sistematica dei diritti umani a cui stiamo assistendo». Quanto alle vituperate (da Salvini) navi di salvataggio, «l’unica collusione certificata non è quella tra le Ong e i trafficanti di esseri umani, ma tra questi e parti consistenti della Guardia Costiera libica». E anche questa non è una novità delle ultime ore