La campagna elettorale per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia si trascina nell’indifferenza della maggior parete del corpo elettorale, non raggiunta dal materiale dei singoli candidati, benché siano cruciali per l’avvenire dell’integrazione europea e della sua qualità. Ci si dimentica che i parlamentari europei non sono più «i rappresentanti dell’Italia nel Parlamento europeo».

Il Parlamento europeo rappresentativo «dei popoli degli Stati membri della Comunità Europea», fino al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa del 2003. Quel trattato fu bocciato dai referendum di Francia e Paesi Bassi del 2005, ma il Trattato di Lisbona ne incorporò un lascito importante: un Parlamento in cui sono rappresentati direttamente i cittadini Ue, come recitano, senza margine di equivoco: «Gli Stati membri sono rappresentati nel Consiglio europeo dai rispettivi capi di Stato o di governo e nel Consiglio dai rispettivi governi, a loro volta democraticamente responsabili dinanzi ai loro parlamenti nazionali o dinanzi ai loro cittadini».

Eppure alla vigilia delle elezioni europee del 2009, l’intesa Pd Fi introduce la soglia di accesso del 4%. La motivazione era che bisognava impedire che le forze escluse dal Parlamento nel 2008 rientrassero in gioco: una nobile motivazione europea, con la scusa che bisognava evitare la frammentazione politica della rappresentanza italiana in Europa.

L’occasione c’era dovendo il Parlamento discutere, se approvare o meno la nuova decisione in materia elettorale europea 2018/994, che rendeva obbligatoria la soglia per i paesi con più di 35 eurodeputati, che non sarebbe entrata in vigore per le elezioni 2024, se non approvata da tutti gli stati membri. La novità era che la soglia d’accesso obbligatoria era compresa tra il 2% e il 5%, mentre quella adottata prima nel 2009 è il 4%, quindi superiore a quella con cui si è votato il 4 marzo 2018 con la legge n. 165/2017.

L’occasione e stata sprecata perché non si è discusso in plenaria , ma nelle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Affari Europei con l’adozione di due Risoluzioni che pur avendo lo stesso oggetto, non si concludono in modo identico: quella del Senato con «approvano la decisione (Ue, Euratom) 2018/994 del Consiglio, del 13 luglio 2018»; quella della Camera, invece, con «esprimono una valutazione favorevole». Questo è uno dei rilievi che abbiamo rappresentato in una lettera ai Presidenti della Camere con una lettera firmata, oltre che da me, dai professori Pasquale De Sena di Diritto Internazionale, Luigi Troiani di Storia e Politiche delle Istituzioni Ue e Emma Imparato di Istituzioni di Diritto pubblico. La nostra opinione è ancora più radicale. Le precedenti approvazioni in materia elettorale europea si son sempre fatte con legge formale, anche perché lo chiede la nostra Costituzione all’art. 72. una precisa riserva di legge anche procedurale. ll Ministero dell’Interno ha erroneamente affermato al Ministero degli Affari esteri, che purtroppo ha condiviso, che l’approvazione della decisione 2018/994/Ue, Euratom “non necessita di interventi normativi di adeguamento dell’ordinamento italiano”. Non è vero, specialmente per quanto attiene agli articoli della Decisione 2018/994: a) 3 par. 2 sulle soglie di accesso obbligatorie per gli stati con più di 35 deputati europei; b) 3 ter sul nome o logo del partito europeo di riferimento delle liste nazionali; c) 4 bis sul voto anticipato, per corrispondenza, elettronico e via internet.

Si aggiunga che la legge vigente da un trattamento privilegiato a tre sole minoranze linguistiche francese, tedesca e slovena, ma nel 1999 ne sono state riconosciute 12 e tra queste il sardo e friulano hanno una consistenza maggiore del tedesco della Provincia di Bolzano. Dal 2011 il Consiglio di Stato ha ritenuto tacitamente abrogato l’art. 21 c. 1 n. 3) della legge n. 18/1979, ma il testo non è stato cambiato. Non adottando una legge si sono incise le prerogative dei parlamentari italiani e del Presidente della Repubblica. Le soglie d’accesso riducono il pluralismo politico, valore fondanti della Ue (art. 2 TUE). Sembra, invece, che si voglia ridurre la dialettica politica europea alla sterile contrapposizione tra europeisti generici sull’orlo di una crisi di nervi e sovranisti populisti esagitati: da sinistra un perentorio no grazie!