La Gazzetta europea ha pubblicato di recente il Regolamento sulla libertà dei media. L’articolo 5 disciplina i servizi pubblici, che si devono caratterizzare per una governance indipendente e per avere risorse adeguate.

Il regolamento impone che gli Stati membri provvedono che i servizi pubblici «siano indipendenti dal punto di vista editoriale e forniscano in modo imparziale una pluralità di informazioni e opinioni al loro pubblico». Le procedure per le nomine del vertice devono essere «finalizzate a garantire l’indipendenza». Per tutelare l’autonomia editoriale si prevede inoltre che «le procedure di finanziamento si basino su criteri trasparenti e oggettivi stabiliti in anticipo», in modo da garantire ai servizi pubblici «risorse finanziarie adeguate all’adempimento della loro missione». La legge europea impone che entro l’8 agosto 2025 gli Stati debbano adeguarsi al regolamento.

L’Italia lo dovrà fare, essendo la Rai non conforme a entrambe disposizioni. Riguardo la nomina del vertice della Rai, la legge 220/2015 ha introdotto un sistema di governance che assegna i maggiori poteri di nomina all’esecutivo, mentre il Parlamento si riduce a ratificare le decisioni di Palazzo Chigi. È stata poi introdotta una nuova figura, l’Amministrazione delegato, che diventa il dominus dell’azienda pubblica (una sorta di premierato). Una anomalia in quanto si è sempre cercato di avere forme di collegialità nel governo dell’azienda. Non a caso c’è chi propone, sul modello della Bbc, un sistema duale per il vertice, con un comitato editoriale ed un comitato gestionale, funzioni che richiedono specifiche competenze.

L’autonomia editoriale si raggiunge grazie all’autonomia finanziaria.
I servizi pubblici in Europa si finanziano con il canone e la pubblicità (in Spagna il canone è sostituito da finanziamenti pubblici, mentre la Bbc non effettua la pubblicità). Entrambe le risorse sono per Rai condizionate da scelte politiche. La pubblicità dipende dal mercato, ma la Rai, come gli altri servizi pubblici, è un operatore dimidiato, in quanto è sottoposto a vincoli sulla quantità di pubblicità trasmissibile, l’affollamento pubblicitario. Inoltre con Dlgs 208/21, l’affollamento è stato ulteriormente ridotto, a tutto vantaggio degli altri operatori privati.

Il canone è giuridicamente una “imposta di scopo”, finalizzato a finanziare la Rai. In Italia c’è il canone unitario di gran lunga più basso, pari al 42% del canone in Germania, al 50% per il Regno Unito, il 60% di quello francese. Ciò spiega il motivo per cui la Rai ha avuto sempre la necessità di spingere sulla pubblicità. Non a caso è il servizio pubblico che ha la quota dei ricavi pubblicitari più alta.

La vicenda del canone è particolare. La decisione sull’ammontare del canone unitario è sempre stata di competenza del governo. Canone che ha avuto un andamento inferiore all’inflazione. Un’altra caratteristica è che fino al 2015 l’evasione dal pagamento è stata piuttosto elevata, stimata in circa il 30-35% dei potenziali utenti. La situazione cambia nel 2015, con la legge n. 208, quando il pagamento è ancorato alla bolletta dell’energia elettrica. Da quel momento l’evasione quasi si azzera, gli abbonati passano da 16milioni a più di 22milioni in un solo anno. Ciò consente al governo di abbassare l’entità del canone (da 113,5 nel 2015 a 100€, per poi stabilizzarsi per alcuni anni a 90€). Lo scorso anno, il canone per il 2024 è stato ulteriormente abbassato a 70€, per motivi propagandistici; il governo si è infatti affrettato a dichiarare che la quota restante dei ricavi sarà integrata da un contributo dello Stato.

Intanto, l’Europa ha rotto il “giocattolo” dell’aggancio del canone alle bollette elettriche. Tale meccanismo dovrà essere eliminato in quanto rappresenta un «onere improprio» della stessa bolletta.

Che succederà, considerando anche che il canone è un tributo piuttosto inviso? Si tornerà al vecchio sistema di riscossione, dove i controlli sono piuttosto blandi con relativo innalzamento dell’evasione? Oppure si sceglierà la strada del contributo statale annuale?

L’Europa impone che l’ammontare delle risorse non siano un potere discrezionale dell’esecutivo. La soluzione migliore è probabilmente quella di stabilire un piano pluriennale dell’andamento del canone unitario. Per contenere l’evasione, si dovrebbe introdurre la presunzione del possesso degli apparecchi adibiti alla visione dei programmi, dando la possibilità di dimostrare il contrario.

In Italia, si “spende” poco per la Rai. D’altronde l’azienda pubblica non fa molto per essere apprezzata, ancor di più nell’ultimo periodo dove l’informazione è asservita al governo e la qualità dei programmi si è affievolita. Fra un anno l’Europa ci impone di cambiare la situazione; se non lo si facesse i sostenitori della privatizzazione della Rai avrebbero buon gioco. La nostra fragile democrazia può far a meno di un presidio pubblico nella comunicazione audiovisiva lasciando il sistema in mano solo ai privati? Sicuramente no, ci vorrebbe però una “nuova” Rai.