Alle ultime battute prima del voto la Germania non fa eccezione. Dichiarazioni, promesse, spauracchi si riducono ai livelli minimi di intelligenza del reale e alla più sfacciata superficialità.

Con notevoli sforzi i media cercano di appassionare il pubblico a una campagna elettorale tutt’altro che eccitante buttandola sulla suspense. Cdu-Csu e Spd sono testa a testa. Ma i sondaggi sono tutt’altro che infallibili. Non si sa come andrà a finire e un gran numero di coalizioni di governo appaiono, almeno numericamente, possibili. A designarle è la variegata composizione dei colori: semaforo, bandiere della Germania o della Jamaica. Il linguaggio del colore testimonia l’elasticità dei contenuti politici e sorvola allegramente sui conflitti di interesse. Un solo esempio. I molti sostenitori del cosiddetto semaforo (Spd-Verdi-Fdp) la vedono così: i socialdemocratici per il lavoro e il welfare; i Verdi per l’ambiente; i liberali per la deregulation e la sburocratizzazione tanto necessarie alla ripresa. Ce n’è per tutti i gusti e tutte le inclinazioni. Anche se, fino alla vigilia, gli uni venivano giocati contro gli altri. Per poi confluire in una festosa fiera delle diversità.

Di certo c’è solo (e poi chissà?) che Angela Merkel e il suo sistema pragmatico e ondulatorio di impedire la conflagrazione degli interessi attraverso lo schema stantio e sempre più indigesto della Grande coalizione esce di scena senza eredi convintamente designati.

Non prima di avere lungamente e profondamente logorato il consenso dei partiti cristiano-democratici. Nondimeno la figura della cancelliera continuerà a lungo a esercitare il suo potere come ineludibile termine di paragone, come campione della stabilità e come esempio della capacità di affrontare i momenti di crisi senza sbandamenti e senza strappi, di conservare lo stato di cose esistente senza irrigidirlo. Chi più saprà assomigliarle più sarà gradito. Tentazione irresistibile per tutti i candidati.

La Spd ha invece fatto la scelta di ricondurre al suo interno la logica della coalizione tra opposti proponendo un programma abbastanza “di sinistra”, almeno rispetto alla storia neanche più troppo recente di quel partito, affidandolo però a un candidato Cancelliere, Olaf Scholz, saldamente radicato nella destra liberista del partito. Può essere anche che questa furberia paghi sul piano elettorale, ma certo è che la sua prospettiva sul lungo periodo appare decisamente evanescente.

Ingrediente imprescindibile di ogni insalata governativa è il verde. I Grünen te li ritrovi nell’ipotesi più di sinistra immaginabile che li affianca alla Spd e alla Linke, così come nella prospettiva ultraconservatrice che li vede in compagnia di democristiani e liberali. La versatilità tattica è l’altra faccia dell’interesse universalistico che il partito verde pretende di rappresentare: quello del pianeta e delle specie che lo abitano. Adattarsi e condizionare è la carta vincente, ma al tempo stesso il limite dei Grünen che solo per un breve momento i sondaggi indicavano come primo partito del paese.

Quanto ai liberali di Christian Lindner, altra bandiera per tutte le stagioni, un paese sempre meno bigotto e sempre più attento ai diritti civili non lascia loro altro ruolo che quello di strenui difensori dei patrimoni, delle rendite e della competitività tedesca a qualsiasi costo umano o sociale che sia.

Al termine del lungo regno di Angela Merkel, addirittura un’“era” secondo i più enfatici, ci sarebbe da attendere un grande cambiamento. Converrebbe invece scommettere sul contrario, quale che sia la formula di governo che scaturirà dall’alchimia dei colori. Poche espressioni suscitano l’orrore degli elettori della Bundesrepublik quanto l’affermazione che «niente sarà più come prima». Ma soprattutto, nella maniera meno appariscente possibile, sotto il segno della prudenza e della stabilità, il cambiamento c’è già stato durante l’ultimo mandato della cancelliera.

La Germania dopo il susseguirsi delle crisi e l’esperienza della pandemia è cambiata non poco entro i limiti che il credo ordoliberista può consentire. E il “nuovo” porta il nome di Angela Merkel. Cosicché ai successori toccherà recitare la parte degli epigoni. Fino a quando il riattivarsi delle contraddizioni e della conflittualità sociale non riaprirà concretamente una prospettiva di cambiamento.