Bene ha fatto il manifesto a dare spazio alla conferenza stampa del Comitato per il No contro l’election day e il taglio dei parlamentari. E comincia ad alzarsi la coltre di silenzio su una delle riforme potenzialmente più stravolgenti della storia repubblicana.

Hanno preso posizione soggetti della sinistra sparsa, e persino un giornale non sospetto di pulsioni eversive come l’Espresso. La Direzione nazionale di Sinistra italiana ci consegna ora un documento per il No nel voto referendario.

A quanto sappiamo, è la prima volta che un soggetto politico certifica ufficialmente il misfatto.

Sinistra italiana afferma che non era d’accordo con il taglio dei parlamentari, che lo ha votato solo perché era irrinunciabile per M5S, che era l’unico modo di evitare lo scivolamento a destra del paese, ed infine che il voto positivo si legava a correttivi – legge elettorale proporzionale, modifiche di completamento alla Carta costituzionale – che non vedono la luce, e la cui assenza ora giustifica il No nelle urne.

Fa impressione vedere un documento di partito che attesta lo scambio dannato e il ricatto tra precari equilibri di governo e una delle architetture essenziali per le istituzioni del paese.

Beninteso, sapevamo già tutto. Sapevamo in specie della inconsistenza degli argomenti per la riforma, e del peso degli argomenti contrari, tutti ampiamente trattati su queste pagine.

Il problema viene da molto lontano. Prende l’avvio con la sinistra che abbandona – tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 del secolo scorso – la centralità e la rappresentatività del parlamento, per inseguire i falsi miti della stabilità e governabilità costruite su sistemi elettorali maggioritari e partiti “leggeri”.

Ne sono invece venuti una crescente frammentazione del sistema politico e l’indebolimento delle istituzioni. Da oltre un ventennio l’Italia dei governi presuntivamente più forti perché scelti dagli elettori è stata assai meno “governata” di quella dei “governicchi” formati in Parlamento con alleanze dopo il voto.

Lo provano ampiamente, ad esempio, il progressivo cedimento del pubblico e le privatizzazioni sbagliate che hanno contribuito a vicende come il ponte Morandi o la crisi del sistema sanitario sotto i colpi del Covid-19.

In realtà, solo M5S vuole davvero il taglio dei parlamentari, che ha scelto come bandiera. Gli altri, che lo dicano o meno, sono o contrari pensando di riceverne un danno, o al più – come la Lega o Fratelli d’Italia – agnostici, perché gli equilibri di oggi comunque assicurano spazi assai maggiori che in passato.

Non manca chi – in specie Giorgia Meloni – vede nel taglio e nel conseguente indebolimento del parlamento l’occasione per una opzione presidenzialista, o chi vede l’egemonia della destra – facilitata dal taglio in assenza dei correttivi sopra menzionati – come l’occasione per spacchettare il paese nelle repubblichette del regionalismo differenziato.

La stabilità di un paese dipende in non piccola misura dalla stabilità di una Costituzione recante regole ampiamente condivise. A partire da Titolo V del 2001, viviamo esperienze di riforma di segno esattamente opposto.

Ho sostenuto, e ribadisco, che la madre di tutte le riforme sarebbe una sola: mettere in sicurezza la Costituzione modificando l’art. 138 in modo tale da togliere il potere di revisione dalle mani della maggioranza di governo pro tempore.

Si eviterebbe così che la Costituzione sia ostaggio della dialettica tra maggioranza e opposizione, o ancor peggio della dialettica interna alla stessa maggioranza. Come Sinistra italiana certifica che accade oggi per il taglio dei parlamentari.

L’ultimo paradosso è che dal taglio il maggior danno in assoluto viene a M5S, suo massimo sostenitore.

Dell’armata parlamentare del 2018 rimarrebbe una sparuta pattuglia, soprattutto in mancanza dei correttivi menzionati. Forse questo è motivo non ultimo delle convulsioni che attraversano oggi i 5Stelle.

Mentre si spiega davvero poco l’esultanza davanti a Montecitorio dopo l’ultimo voto sulla riforma, con striscioni e la sagoma di un paio di enormi forbici.

Ma vogliamo rassicurarli. La vittoria del No nel referendum potrà confermare che erano di cartone.