«Non è facile parlare dell’orribile esperienza che abbiamo vissuto, ma cercherò di fare del mio meglio. Al momento dell’esplosione al porto di Beirut, stavo in uno spazio aperto, in alto, sul tetto della mia palestra per un corso di stretching. D’improvviso, ho sentito il terreno tremare sotto di me. Ho alzato gli occhi e visto una nuvola di forma circolare che girava e rigirava in un modo insolito. Tutto era accompagnato da una sensazione di fortissima pressione. C’è voluto qualche secondo perché i miei riflessi si risvegliassero, portandomi a rifugiare dietro un muro. È stato allora che ho sentito il rumore terrificante dell’esplosione. È accaduto tutto davanti ai miei occhi. Il mio corpo è stato più veloce del cervello: ha capito cosa stava succedendo e come reagire. Siamo scesi tutti dalle scale, velocissimi. Non sapevamo se saremmo riusciti ad arrivare al piano terra né cosa avremmo mai trovato in strada». Fatima Sharafeddine è libanese, vive fra Beirut e Bruxelles ed è una delle più amate autrici di libri per ragazzi nel mondo arabo (ne ha pubblicati oltre centoventi, tra cui anche la storia di Avicenna, in Italia esce con Gallucci, il suo ultimo romanzo è Faten). È ancora sotto shock quando risponde alle nostre domande. «Non riesco a credere alle devastazioni cui ho assistito: 90mila case distrutte, centinaia di morti, 6000 feriti e 300mila sfollati. Di questo evento apocalittico, ognuno di noi continua a ricevere video girati con telecamere domestiche o dai circuiti di sorveglianza che mostrano cosa è successo alle persone al momento dello scoppio. Troppe storie tristi, tanta miseria.

La storia di Beirut, sia politica che sociale, è molto difficile da raccontare…
Avevo otto anni quando in Libano è scoppiata la guerra civile (1975-1990). In effetti, mi sento come se quel conflitto non fosse mai finito. Il sistema corrotto che si è sviluppato nel nostro paese ha messo da parte i bisogni del popolo libanese e ha reso impervio l’ottenimento dei diritti umani fondamentali: quelli dell’istruzione, occupazione e assistenza medica. Ero bambina e poi dopo sono diventata una giovane adulta ma per la mia famiglia era sempre la stessa storia: doveva cercare rifugio nelle zone più sicure, ogni volta che cambiava l’equilibrio dei poteri nelle milizie esistenti e si verificavano nuovi scontri. La guerra imperversava anche nelle strade delle zone residenziali: ci siamo trasferiti di città, cambiato case e scuole continuamente, nel tentativo di trovare un posto dove fosse possibile sopravvivere.

Quali sono i suoi ricordi di Beirut, la città che la circondava durante l’infanzia? Cosa è mutato maggiormente, nel corso degli anni?
Nonostante la sfortunata realtà della guerra civile che abbiamo sperimentato, e fatta eccezione dei fanatici politici o religiosi, il popolo libanese ha mantenuto alto il valore della solidarietà. Tutti si sono sempre aiutati a vicenda nelle difficoltà quotidiane: cibo, alloggio, assistenza medica, etc. Il trauma collettivo ha creato un legame forte tra noi.
Questo spirito, questo tenersi per mano riemerge anche oggi. Le persone, pochi minuti dopo l’esplosione di Beirut, sono scese in strada sostenendosi l’un l’altra. Ho visto auto civili raccogliere i feriti a terra, cercando di raggiungere l’ospedale più vicino. Nei giorni successivi, in molti hanno cominciato a raccogliere le macerie, a distribuire cibo, a fornire riparo alle famiglie più colpite. Centinaia di Ong locali e migliaia di volontari di tutte le età hanno lavorato sul campo sin dalle prime ore e lo fanno ininterrottamente ormai da otto giorni.

Come può riprendersi una città che ha vissuto questo trauma, appena emersa dalle chiusure dovute alla pandemia e con la grave crisi economica che «morde» da tempo?
Beirut, e il Libano in generale, potranno superare tutta la miseria che si è abbattuta sul Paese soltanto attraverso le dimissioni del presidente della repubblica e del premier (già annunciate). Oggi, al potere oggi ci sono molti signori che manovravano la guerra civile negli anni ’70 e ’80. Sono corrotti, nel senso più estremo della parola. Non si sono preoccupati della popolazione libanese e non hanno fatto nulla per migliorare le infrastrutture del Paese, né per creare posti di lavoro per i giovani.
Stava lavorando a qualche nuovo libro?
Prima dell’esplosione, stavo realizzando un albo dedicato alla scrittura creativa per bambini e ragazzi. Non riesco più a concentrarmi, l’elaborazione sarà lunga.