Mancano ancora nove mesi alle elezioni europee ma Viktor Orbán già lancia quello che con tutta probabilità sarà il cavallo di battaglia dei sovranisti. «In Europa ci sono due campi – scandisce -. Uno è quello di Macron che vuole dividere il Ppe e guida il partito di chi vuole l’immigrazione. L’altro è dove siamo noi che non vogliamo l’immigrazione illegale». Seduto accanto al premier magiaro, Matteo Salvini fa sì con la testa e rilancia elencando quelli che sembrano i punti di un programma: «Siamo vicini a una svolta storica», dice. «Oggi comincia un percorso che ci accompagnerà nei prossimi mesi per un’Europa diversa, per un cambiamento della Commissione europea, delle politiche europee, che metta al centro il diritto alla vita, alla salute, al lavoro, alla sicurezza».

A sentire il premier ungherese e il ministro degli Interni italiano mentre parlano seduti nella prefettura di Milano al termine del loro primo incontro, sembra quasi di assistere al battesimo di quel fronte sovranista di cui Salvini parla da tempo. Invece non è così. Anzi. Della «Lega delle Leghe», il progetto politico annunciato a luglio a Pontida, almeno per ora c’è ben poco, se non proprio niente. Generoso in complimenti («Matteo è il mio eroe, da lui dipende la sicurezza dell’Europa»), Orbán è altrettanto prudente nello sbilanciarsi, al punto da dire chiaramente di non avere nessuna intenzione di portare il suo Fidesz fuori dal Ppe per dar vita ad alleanze che, sottolinea, al limite «si faranno dopo le elezioni». Fino a quel momento l’obiettivo è un altro: «C’è un grosso dibattito all’interno del Ppe, vorremmo prevalesse la nostra posizione», spiega.

Pare di capire che fino a quando le urne non si apriranno, i sovranisti europei marceranno dunque separati per colpire, forse, insieme. A unire, per ora, ci sono soprattutto le parole d’ordine che riguardano la volontà di ridurre i poteri di Bruxelles a favore degli Stati nazionali, la difesa dei confini esterni dell’Unione, il rimpatrio dei migranti irregolari. «Sto lavorando ad accordi con i paesi di origine», spiega Salvini senza specificare né quali né i tempi degli accordi. Ma contrariamente al resto dell’Europa, che punta a gestire il fenomeno anche con i rimpatri, i due leader sono convinti che fermare l’immigrazione sia possibile. Al punto che Orbán fa un vanto della propria esperienza: «L’Ungheria – dice – ha dimostrato che è possibile fermare l’immigrazione sia giuridicamente che fisicamente». E il riferimento è al muro costruito al confine con la Serbia.

Tutto bene dunque? Forse per l’ungherese, perché al di là delle pacche sulle spalle e dei complimenti, dall’incontro il leader leghista sembra avere incassato davvero poco. «L’amico Viktor», come lo chiama Salvini, dice infatti no a qualunque cosa possa aiutare davvero l’Italia nella gestione dei migranti. No alla modifica del regolamento di Dublino, no al ricollocamento dei richiedenti asilo. No alla distribuzione in Europa dei migranti che si trovavano sulla nave Diciotti, come avrebbe voluto il leghista e che invece definisce «irragionevole». E no, infine, anche alla modifica delle regole della missione europea Sophia. Sempre ieri infatti, mentre Orbán si preparava a gustare risotto allo zafferano e ossobuco in un ristorante di Brera, nella riunione del Comitato politico e di sicurezza (Cops) in corso a Bruxelles proprio l’Ungheria – stando a quanto riferito da fonti Ue – si allineava agli altri paesi rifiutandosi di modificare la regola che impone lo sbarco in Italia dei migranti salvati dalle navi impegnate nella missione. «Se non cambiano le regole di alcune missioni internazionali ne faremo anche a meno», assicura Salvini in prefettura. Impossibile sapere se nel corso dell’incontro ha chiesto conto ad Orbán della posizione ungherese. «Gli immigrati clandestini arrivati in Italia no dovrebbero essere ricollocati, e nemmeno spartiti o divisi tra di noi, ma dovrebbero essere rimandati a casa loro», conclude il premier ungherese, Che all’Italia promette comunque «tutto l’aiuto possibile».

Da Bruxelles non arriva nessun commento all’incontro milanese. «Non ci esprimiamo e non ci riteniamo coinvolti», fa sapere un portavoce della Commissione, ma è chiaro che nelle istituzioni europee c’è preoccupazione per una possibile asse sovranista. Quanto poi questo sia saldo lo si potrà capire già oggi nel vertice informale dei ministri degli Esteri e della Difesa che si apre a Vienna.