Il giorno dopo l’intervento del Colle servito a sbloccare l’odissea delle nave Diciotti, e prima che dal Viminale Matteo Salvini ricominciasse a minacciare la chiusura dei porti contro l’ultimo barcone in avvicinamento, finalmente ieri mattina Luigi Di Maio trova il coraggio di prendere posizione. «Che Salvini abbia esagerato non me ne frega niente – dice in televisione il capo politico dei 5 Stelle -, la cosa importante è che con l’intervento del presidente si sia sbloccata la situazione». E dopo di lui interviene anche il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, silenzioso quando Salvini spiegava ai pm di Trapani che voleva vedere i migranti scendere dalla nave ammanettati: «I magistrati lavorano in piena indipendenza e autonomia rispetto al potere politico. Salvini ha espresso il suo parere, voleva dire che se qualcuno ha sbagliato deve pagare, ma i fatti parlano chiaro – dice il Guardasigilli – e lo stanno dimostrando proprio con il caso Diciotti».

Quello che né Salvini né Bonafede dicono è che senza l’intervento del Quirinale una situazione che stava ormai diventando imbarazzante per l’intera Europa sarebbe probabilmente ancora in piedi. Dietro la telefonata del presidente Mattarella al premier Conte c’è infatti al convinzione maturata nel capo dello Stato che ai vertici del governo gialloverde nessuno aveva il coraggio di intervenire per fermare il ministro leghista. Non il ministro dei Trasporti Toninelli, che dopo aver autorizzato la Diciotti ad attraccare a Trapani, giustificava Salvini affermando con frasi tipo «avrà le sue ragioni». Non Bonafede, restato in silenzio nonostante le pressioni esercitate dal leghista sui magistrati siciliani. E neanche il premier Giuseppe Conte che pure avrebbe potuto far valere il suo ruolo mettendo un argine ai continui straripamenti del ministro degli Interni. E invece così non è stato. Ed è proprio la consapevolezza che niente sarebbe successo perché nessuno voleva assumersi la responsabilità che ha spinto Mattarella a prendere in mano la situazione facendo quello che nessuno, tra i 5 Stelle aveva il coraggio di fare: fermare il ministro degli Interni. Una decisione che ha preso definitivamente corpo una volta che le indagini hanno chiarito che a bordo del rimorchiatore Vos Thalassa non c’era stato nessun ammutinamento.

Per Salvini quanto accaduto rappresenta una sconfitta su tutta la linea, che va ad aggiungersi al niente di fatto ottenuto a Innsbruck nel vertice dei ministri degli Interni dei 28. Nonostante questo il titolare del Viminale ieri ha voluto mostrare di non essere preoccupato e ha negato ogni attrito con il Quirinale: «Non mi sto scontrando con nessuno e il presidente della Repubblica non si è mai intromesso in quello che io ho fatto come ministro», ha detto. «Io non ho niente da chiarire, se comunque Mattarella vuole capire cosa ho fatto io sono a disposizione».

L’arrivo dell’ultimo barcone dalla Libia, con 450 migranti a bordo, è l’occasione per riprovare a ricompattare, almeno temporaneamente, il governo, con Toninelli di nuovo allineato Viminale nel minacciare la chiusura dei porti.

Se le partenze dalla Libia riprenderanno a ritmi intensi rispetto agli ultimi mesi quanto tempo potrà durare questa situazione? Ieri dall’opposizione è arrivata Salvini qualche timida richiesta di dimissioni. Lo ha fatto Possibile con una petizione per chiedere una mozione di sfiducia nei confronti di Salvini e che in poche ore ha raccolto 12 mila firme. Da parte sua il Pd si è limitato a chiedere al ministro leghista un passo indietro: «Salvini dovrebbe dimettersi per l’incapacità ad assolvere al suo compito senza ogni volta buttarla in propaganda e provocare», ha detto il segretario Maurizio Martina.