«La circolare è un modo per orientare le commissioni territoriali e provare a restringere gli spazi di riconoscimento del permesso umanitario. A questo punto tutto si regge sulla dignità e l’orgoglio dei presidenti, che devono basare le proprie decisioni solo sul proprio convincimento e su quello che hanno tratto dalle interviste con chi richiede protezione». Dopo 40 anni trascorsi al ministero degli Interni, 6 dei quali come capo del Dipartimento Libertà civili e immigrazione e poi come capo Gabinetto dei governi Monti e Gentiloni, da pochi giorni il prefetto Mario Morcone si trova al lavoro dall’altra parte della barricata come nuovo direttore del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati.

E come tale si ritrova a dover commentare la circolare ai prefetti con cui il ministro degli Interni Salvini chiede maggiore severità nell’esame delle richieste di asilo e in particolare nel riconoscimento della protezione umanitaria. «Il permesso umanitario serve prima di tutto a tutelare soggetti vulnerabili, ma è stato usato anche per premiare alcune condizioni di integrazione riuscita, come ad esempio può essere il caso di una persona che ha difficoltà a vedersi riconosciuta la protezione internazionale ma nel frattempo ha trovato un lavoro regolare e si è integrata. Va inteso quindi anche come un modo per cercare di asciugare situazioni di irregolarità che non fanno comodo a nessuno».

Proprio quello che contesta il ministro Salvini: il fatto che a ricevere la protezione umanitaria sono persone che non posso accedere alla protezione internazionale. Quindi si fermano in Italia anche se non ne avrebbero diritto.

Premesso che la protezione umanitaria nasce per situazioni specifiche di vulnerabilità come donne incinte o persone malate, in seguito si è allargata anche per dare dignità a situazioni di inclusione che erano nell’interesse di tutti noi. E comunque resta nella discrezionalità e nell’autonomia dei presidenti di commissione raccomandarla oppure no.

Salvini nega che nel mirino del governo ci siano soggetti vulnerabili. Davvero non c’è il rischio che saranno proprio loro a farne le spese?

Certo il rischio c’è, ma poiché in questa vicenda non esiste un rapporto gerarchico, visto che si tratta di un’attività paragiurisdizionale e che il presidente della commissione agisce in autonomia perché non è tenuto a seguire le indicazioni del ministro come invece deve fare un funzionario amministrativo. Matura il suo convincimento sulla base degli atti e della conoscenza che ha delle singole persone e dei singoli casi. E’ chiaro però che il clima complessivi influisce.

Lei parla dell’autonomia dei presidenti di commissione, ma questa circolare non è un modo per limitarla?

È un modo per orientarla. Non direi per limitarla perché non è tecnicamente possibile, ma sicuramente è un modo per orientarla perché vengano ridotti almeno i riconoscimenti della protezione umanitaria.

Si va quindi verso la sua abolizione, come chiede la destra?
Non credo che si arriverà a questo punto, anche perché c’è una serie di paletti normativi rispetto ai quali si dovrebbe ridiscutere tutto. Se lo facesse il governo, qualunque fosse, sia di destra che di sinistra, si priverebbe di uno strumento che invece rappresenta una soluzione per tante situazioni particolarmente difficili. Cercheranno di ridurre i riconoscimenti, questo sì, dando il segnale di una stretta. Ma non arriveranno a cambiare la norma. Ma ripeto: al punto in cui siamo tutto è affidato all’orgoglio dei presidenti di commissione, che devono decidere solo sulla base delle convinzioni a cui sono arrivati ascoltando le storie personali di chi chiede protezione.