«Ho visto le mie due sorelle annaspare prima di scomparire in mare, senza riuscire a fare nulla per salvarle», ha raccontato una donna ivoriana di 40 anni agli operatori di Medici senza frontiere. È tra i 46 sopravvissuti al naufragio avvenuto mercoledì mattina prima dell’alba a 5 miglia da Lampedusa. Una barca con 63 persone si è capovolta durante un soccorso. «Volevo solo essere me stesso, per quello sono partito, per noi non c’è alternativa al mare, anche se sai di rischiare di non farcela», ha detto un 26enne del Camerun. Le parole dei sopravvissuti aiutano a dare corpo alla strage, oltre i numeri. Il giorno stesso il molo Favaloro era stato squarciato dal dolore di una madre che non trovava la figlia 15enne, tra i dispersi.

«AD ASSISTERE a certe scene, c’è solo da sentirsi male. È straziante. Tutto questo fa rabbia», ha affermato il sindaco di Lampedusa, Totò Martello. Nessuna notizia dei dieci dispersi, tra cui donne e bambini. Difficile credere possano essere ancora vivi. Sull’isola gli sbarchi sono continuati anche ieri: 310 le persone arrivate (59, 63 e 188). Le salme delle sette donne annegate sono state imbarcate sul traghetto di linea che collega la maggiore delle Pelagie a Porto Empedocle, facendo scalo a Linosa. I corpi saranno sepolti a Palma di Montechiaro, nell’agrigentino. «Ci faremo noi carico di tutte le spese per la sepoltura. È un fatto che ritengo di buon senso, umanitario», ha detto il sindaco Stefano Castellino.

INTANTO È SCONTRO tra Sea-Watch e Guardia costiera su quanto accaduto nelle ore precedenti al naufragio. Nel pomeriggio di mercoledì la Ong ha scritto su Twitter che «era più che plausibile che le autorità fossero a conoscenza del caso» perché un peschereccio avrebbe dato l’allarme la sera prima. L’aereo della Ong, Sea Bird, aveva registrato la comunicazione di ritorno da una missione nel Mediterraneo centrale. Alcune ore più tardi le autorità italiane hanno escluso qualsiasi «correlazione tra il predetto soccorso e l’evento Sar» della tragedia. All’allarme lanciato via radio dai pescatori, infatti, sarebbe seguito il soccorso di 50 persone con mezzi navali di Guardia costiera e Guardia di finanza.

La posizione segnalata dai pescatori nella comunicazione registrata

IERI, PERÒ, la Ong ha ribadito la sua posizione pubblicando l’audio della comunicazione tra peschereccio tunisino e stazione radio marittima di Lampedusa. Secondo Sea-Watch due elementi smentirebbero la risposta delle autorità: alle 20 di giovedì la barca in pericolo, che assomiglierebbe per grandezza e colore a quella naufragata, si trovava a 0,15 miglia dalla zona Sar italiana, cioè ancora a 36 chilometri dalle coste; i migranti erano subsahariani (i pescatori li avevano avvicinati per distribuire pane e acqua e parlano di «neri», con donne e bambini a bordo). Mentre «la sera del 29 giugno, un’altra imbarcazione, con 41 persone, è stata soccorsa da Guardia costiera e Guardia di finanza, che ha fatto sbarcare i naufraghi a Lampedusa alle 20:30 circa. Le persone erano tutte tunisine», scrive Sea-Watch.