«Spero che in futuro ricorderemo il luglio del 2020 come il momento in cui tutto è cambiato»: forse è questa la frase, contenuta a pagina 197, che ha dissuaso il ministro Roberto Speranza dal far uscire il suo libro Perché guariremo. Dai giorni più duri a una nuova idea di salute. È più probabile, infatti, che luglio 2020 sia ricordato come il mese in cui tanti avevano coltivato un’illusione: che davvero l’incubo Covid fosse alle spalle e tutto fosse cambiato. Sicuramente, era ciò che si pensava nei locali della riviera romagnola e della Costa Smeralda. Da quello che scrive Speranza, l’ottimismo dei balneari era condiviso anche al governo.

Così il libro di Speranza è un caso “giallo”. Annunciato da distributori e librerie, è diventato introvabile o quasi, perché i negozianti non hanno avuto il permesso di venderlo dall’editore Feltrinelli. Ma il libro esiste e qualche copia, in forma più o meno clandestina, circola.

Si può misurare così la distanza che separa la narrazione del ministro da quanto abbiamo sotto gli occhi in queste ore. «Oggi siamo in grado di tenere meglio sotto controllo l’andamento dei contagi, perché abbiamo intensificato il numero di tamponi eseguiti e ci stiamo progressivamente liberando dalla dipendenza di macchine che possono funzionare con un solo tipo di reagente», si legge a pagina 136. Come se davvero fosse stato adottato il “piano Crisanti” per moltiplicare per quattro il numero dei tamponi. E come se i test effettivamente aumentati (anche se non quanto chiedeva Crisanti) stiano davvero impedendo che il numero di casi positivi raddoppi ogni settimana o quasi.

Anche sui fondi europei, quando il ministro Speranza scriveva la prospettiva sembrava più rosea e davvero i miliardi sembravano in arrivo: «Con il Recovery Fund, ne ha ottenuti 209 extra». Una frase che oggi forse non scriverebbe nessuno, visto che la trattativa sul fondo sembra essersi pericolosamente incagliata sui tavoli europei.

Ma il libro di Speranza non è solo una collezione di intenti rimasti colpevolmente sulla carta e oggi smentiti dalla realtà. È in gran parte il racconto – a tratti drammatico – fatto da chi si è trovato sulla poltrona più bollente nel momento più difficile dal dopoguerra a oggi, in cui la tempesta perfetta di una pandemia globale ha colpito più duramente di tutti (così era in primavera) un piccolo paese in mezzo al Mediterraneo.

Leggendo le parole del ministro appare evidente che, dopo la prima ondata, era tanta la voglia di mettersi alle spalle l’esperienza di trentamila morti in poche settimane e la testa di tutti, nelle stanze che contano, era rivolta alle riforme da progettare nei prossimi anni più che a rafforzare la sanità. Eppure la lezione del coronavirus è proprio questa: è in tempo di pace che bisogna preparare le difese, perché nell’emergenza ridisporre le difese e trovare nuove risorse è troppo difficile. La seconda ondata ha preso invece tutti di sorpresa, anche e soprattutto chi aveva più informazioni per accorgersi del pericolo di ritorno. Che il virus sarebbe tornato in autunno lo avevano messo in conto in tanti, e probabilmente lo stesso Speranza. Ma pochi si aspettavano che pronto soccorsi e terapie intensive si sarebbero di nuovo trovate in ginocchio.