Visioni

Il furore di una fiaba

Il furore di una fiabaPetr Kotlar in «The Painted Bird» di Vaclav Marhoul

Venezia 76 L’inferno vissuto da un piccolo ebreo nel film del regista ceco Václav Marhoul, «The Painted Bird». Girato in bianco e nero, visionario e sperimentale, è tratto dal romanzo di Jerzy Kosinski

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 4 settembre 2019

Come si torna ai set di guerra? bisogna essere un angelo sterminatore e Vaclav Marhoul non ha fatto accomodare gli spettatori sulle poltrone con il suo The Painted Bird (L’uccello dipinto), a osservare soddisfatti gas letali, trincee e bombardamenti, ha messo in atto un’azione disturbante più adatta ai nostri tempi, visionario come un film sperimentale.

LA SECONDA guerra mondiale, soggetto cardine delle cinematografie dei paesi comunisti, un classico declinato nelle più diverse angolazioni (compresa quella di rendere i nazisti chiaramente allusivi) è tratto dal romanzo del ’65 di Jerzy Kosinski, lo scrittore polacco sopravvissuto alla guerra e poi diventato cittadino americano. Le vicissitudini di un bambino ebreo (Petr Kotlar) rimasto solo sui campi di battaglia a lottare per la sopravvivenza, rappresenta un saggio filosofico ed estetico non solo sulla bestialità umana, ma soprattutto sulla sua rappresentazione al cinema. Anche nelle sue realizzazioni più poetiche, mostra l’impossibilità di trasmettere qualcosa che non può sapere chi non abbia vissuto l’esperienza di ogni guerra.

SI TRATTA un’immersione di più di due ore, che non lascia tregua (nella meraviglia del bianco e nero 35 mm di Vladimir Smutny), undici anni per portarlo a termine. Le citazioni spesso appena accennate di un’infinità di film sono utilizzate in senso rovesciato, come a sottolineare l’andamento per niente accomodante del racconto. È inutile sperare il riscatto o l’uscita dall’incubo. La bestialità dei personaggi è equamente suddivisa tra pastori, gitani, bottegai, contadine bionde, tutti all’apparenza innocui come ce li trasmette la tradizione, mentre con un capovolgimento inatteso le uniche forme di umanità le troviamo nei ranghi militari, tra i nazisti o nell’esercito sovietico. Orrende esperienze di vita affronta il piccolo Joska rimasto senza più parole e che non ricorda neanche il suo nome. Attraversa un territorio vasto dove si parlano lingue diverse, oltre al ceco, al tedesco, al russo, un esperanto slavo come a sottolineare l’unità di un territorio devastato dalle divisioni e percorso da eserciti sempre diversi. Un’estetica da film muto, con solo 9 minuti circa complessivi di dialoghi (in esperanto slavo perché ancora oggi i contadini polacchi che salvarono lo scrittore pensano che nel libro si stia parlando di loro in tono accusatorio).

Harvey Keitel

LE PRIME SCENE che ricordano Tarkovskij fanno subito pensare alla dimensione poetica, a Ivan che corre nei boschi e sicuramente qualcuno lo salverà, così come la dacia avvolta dalle fiamme, poi entriamo nell’universo di Bela Tarr, di Quando volano le cicogne, di Leone e Buñuel, di Cria Cuervos di Saura, dei cappelli da soldato in testa agli sciuscià, degli scarponi sottratti ai piedi non dei soldati ubriachi ma dei ragazzi morti. Occhi senza umanità fissano dallo schermo, occhi senza più sguardo di Joska che quella umanità la sta perdendo. Occhi estratti dalle orbite con violenza: a suggerire se ci sia ancora la capacità di guardare un film e oltre.

I CONTADINI sono feroci come orchi e vedono in lui, che non si sa da dove arriva, qualcosa di demoniaco, e proprio grazie a questa particolarità una gitana lo salva dal rogo e lo tiene come aiutante («è un vampiro, lo compro»), un cacciatore di uccelli da vendere al mercato comincia a insegnargli il mestiere, ma già subito dopo l’uccello dalle ali dipinte di bianco, lanciato in mezzo allo stormo viene brutalmente attaccato e precipita al suolo. La fragilità del bambino che in ogni modo sopravvive anche quando diventa oggetto sessuale o di puro sadismo corre parallela allo smantellamento della retorica dei film di guerra e dei personaggi del «mio piccolo villaggio» tanto caro ai film del centro Europa e i western più feroci a confronto sembrano dei simpatici party. Fanno parte di questa produzione ceca slovacca e ucraina alcuni interpreti celebri come Harvey Keitel (il prete sollecito), Stellan Starsgard, Julian Sands e perfino Aleksei Kravchenko che a tredici anni interpretò Va’ e vedi di Klimov (1985) il ragazzino che si procurava un fucile e si univa ai partigiani.

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