Il fulcro dell’agenda climatica della Casa bianca, il Clean Energy Payment Program (Cepp), è apparentemente naufragato senza tante cerimonie, a causa dell’opposizione del senatore democratico moderato della West Virginia Joe Manchin: il piano destinato ad accelerare la sostituzione delle centrali elettriche a carbone e a gas naturale con la generazione eolica, fotovoltaica e nucleare non sarà incluso nella legge di bilancio che il Congresso si appresta a votare.

Il Cepp è una misura da 150 miliardi di dollari che premia le compagnie elettriche che passano dai combustibili fossili alle energie rinnovabili e penalizza quelle che non lo fanno.

IL VOTO DI MANCHIN è cruciale per fare passare la manovra «Build Back Better» di Biden: il Senato è spaccato a metà tra democratici e repubblicani e tra le file democratiche c’è anche un altro moderato contrario al piano, la senatrice dell’Arizona, Kyrsten Sinema, che si è sempre detta scettica sul programma.

Per far approvare una norma capace di obbligare le società energetiche a fornire quantità crescenti di elettricità a zero emissioni di carbonio, l’amministrazione Biden aveva usato la cosiddetta procedura di riconciliazione per aggirare l’ostruzionismo dell’opposizione al Congresso.

Le leggi di riconciliazione possono essere approvate al Senato con una maggioranza relativa (51 voti favorevoli su 100, o 50 voti più quello della vicepresidenza) invece che con una maggioranza qualificata (60 su 100). Anche per poter fare ricorso a questa mossa i progressisti avevano dovuto cedere su diversi punti e il pacchetto di riconciliazione era passato, decurtato, da seimila miliardi di dollari a soli 1.900.

Ora, dopo questo nuovo naufragio delle trattative interne al partito, l’ala più liberal sta cercando di capire come riportare in vita una sorta di piano comparabile al Cepp in termini di riduzione delle emissioni inquinanti, prima che i leader mondiali inizino a discutere sul futuro dell’Accordo di Parigi a Glasgow a fine ottobre.

LE ANALISI di Resources for the Future e della società di ricerca Energy Innovation mostrano che la fine del Cepp potrebbe causare un buco del 20-35% nelle riduzioni delle emissioni promesse da questa amministrazione.

Un nuovo rapporto del Rhodium Group, prodotto in consultazione con la Casa bianca, afferma che l’obiettivo di Biden di ridurre le emissioni di gas serra dal 50 al 52% entro il 2030 potrebbe essere ancora a portata di mano, anche con il Cepp fuori dal tavolo delle trattative, ma che per poterlo attuare sarebbero necessarie una serie di azioni esecutive, una sorta di spallata presidenziale a ogni tipo di opposizione, esterna e interna al partito, proprio quel tipo di mossa politica che Biden non sembra voler compiere.

SECONDO I RAPPORTI dei negoziati sul Cepp, nel budget di riconciliazione le proposte democratiche per la spesa per il clima erano già state ridotte a soli 300 miliardi di dollari, o in altri numeri, decurtati di una media di 30 miliardi di dollari all’anno.

Un piano molto diverso dai circa mille miliardi di dollari annuali di spesa dedicata al clima che gli esperti suggeriscono essere il minimo necessario per raggiungere gli obiettivi audaci e coerenti con l’accordo di Parigi dell’amministrazione Biden.

Secondo Manchin non c’è davvero bisogno di questa misura, visto che le aziende energetiche stanno già attuando da sole la transizione verso le rinnovabili, senza bisogno di una manovra intesa ad accelerare il processo con incentivi e disincentivi mirati.

Rimane il fatto che, stando alla sua ultima dichiarazione dei redditi, lo scorso anno Manchin ha guadagnato 492mila dollari grazie a una quota azionaria detenuta in Enersystems, società che fornisce carbone di scarto a una centrale elettrica nel nord del West Virginia, come ha sottolineato Jim Kotcon, presidente del Sierra Club dello Stato.