Il tentativo di costruzione di un cordone sanitario attorbno a Renzi e alla sua periclitante impresa di restare a Palazzo Chigi dopo il referendum costituzionale prosegue intensa sul fronte internazionale. Dopo la campagna mediatica, iniziata sulle colonne del Financial Times, Wall Street Journal e Economist è arrivato il turno dei «pesi massimi». Presentando alla mezzanotte dell’altro ieri i dati sull’economia italiana – con il devastante vaticinio di una recessione ventennale – il Fondo Monetario Internazionale ha espresso il suo voto al referendum costituzionale in autunno: sarà un «Sì» nel rispetto della sovranità degli italiani a cui «spetta di decidere sul referendum sulla riforma».

A parlare è Rishi Goyal, capo della missione Italia dell’organizzazione durante una conference call sulla pubblicazione dell’analisi annuale sull’economia italiana. Il rispetto per la libertà di voto sul sistema elettorale e sul Senato non ha impedito all’esponente del fondo diretto da Christine Lagarde di esprimere i propri interessi nel tentativo di condizionare il voto. Sempre che ci sia qualcuno che ne riconosca l’autorità. Su questo a Whashington sembrano certi: «Ci sono elementi importanti all’interno delle riforme costituzionali che sono legati allo snellimento delle responsabilità nei diversi livelli del governo con l’obiettivo di agevolare il processo decisiopnale che potrebbe avere dei benefici».

Rishi Goyal ha idee molto chiare che collimano con la tesi della presunta «governabilità» che la riforma Renzi-Boschi apporterebbe in un sistema iper-decisionista e maggioritario che si fonda su un «Italicum», contestato dai «grandi elettori» del governo, e su un Senato di cooptati. Se, per caso, gli italiani votassero contro questo capolavoro di «efficienza», l’avvertimento è chiaro. L’esito del referendum «è certamente un fattore nelle decisioni di investimento che condiziona l’outlook». In altre parole, e in pratica, se vince il «No» l’Fmi può fare un report catastrofico sull’economia e indirizzare altrove gli investimenti. E i «mercati» potranno scatenare attacchi speculativi. Il solo pensiero può fare entrare in fibrillazione l’intero sistema istituzionale, pronto a nuove ipotesi di commissariamento politico degli italiani «disobbedienti». Il teorema è pronto, condizionerà la campagna referendaria delle prossime settimane. Ogni considerazione sul rispetto della volontà democratica sembra superflua.

L’Fmi cita un rapporto di Citygroup che è alla base sia degli articoli del Financial times che della fosca previsione dell’Economist secondo il quale quella italiana è la prossima crisi europea dopo la Brexit. Il referendum costituzionale – e non i crediti tossici nelle pance delle banche italiane – è «il rischio più grande sul panorama politico europeo del 2016, dal momento che il futuro politico di Renzi potrebbe essere legato al suo esito». A chi ha chiesto di fare una stima della valanga che potrebbe abbattersi sull’economia italiana in caso di vittoria del «No» Goyal ha risposto in maniera sibillina: «Provare a fare una stima del genere richiederebbe troppa fiducia nelle capacità di chi la calcola».

Una sorta di ammissione di incompetenza, del tutto giustificata per un organo come l’Fmi a dir poco impotente rispetto alla crisi del 2008 e alle sue attuali conseguenze. Affermazione del tutto insufficiente per chi ha lanciato l’allarme di un attacco speculativo contro l’Italia nel caso di un voto contrario ai veri o presunti desideri dei «mercati» e, poi, interrogato sul merito non è capace di fare nemmeno una stima. È probabile che la cifra salterà fuori nel momento «caldo» della campagna referendaria per fare da sponda a Renzi.

«C’è forte interesse per il tema delle riforme costituzionali perché da queste passa anche una maggiore stabilità del nostro Paese e una maggiore continuità dell’attività di governo» ha chiosato il ministro per le riforme Maria Elena Boschi, ieri a Bruxelles. Il piatto è servito: si vota su tutte le «riforme» renziane: Jobs Act, Buona Scuola e Sblocca Italia, per cominciare.

L’outlook annuale sull’economia italiana è devastante, si diceva. L’Fmi prevede una recessione lunga vent’anni. Altro che gufi, questa è una prospettiva che contrasta con l’agiografia creata da Renzi a propria misura. La crescita si manterrà all’1% quest’anno (ma con il Brexit sarà inferiore) e presenterà vari rischi: «la volatilità dei mercati, le ondate dei rifugiati, il vento contrario creato dal rallentamento del commercio globale». A questo ritmo, continua l’Fmi, si dovrà aspettare la metà degli anni 2020 per recuperare il livello della crescita pre-crisi, prima del 2007. Nel frattempo si allargherà la frattura tra i redditi italiani e quelli dell’Eurozona.