L’Eurozona si sta giocando la pelle sulla crisi bancaria italiana e il referendum costituzionale di ottobre (o novembre). Questa è la lettura politica ribadita nell’ultimo numero del settimanale britannico The Economist. Dietro la trattativa sui crediti deteriorati in vista degli «stress test» sui bilanci bancari che la Bce terminerà il 29 luglio c’è il referendum costituzionale sul quale Renzi ha messo in gioco il suo posto. Il collegamento tra i primi due problemi e la consultazione popolare è arbitraria, squisitamente politica. La tesi per cui il «No» al referendum – espressione di una volontà democratica – destabilizzerebbe l’intero continente dopo la «Brexit» è uno degli argomenti usati per ottenere dalla governance europea il via libera alla ricapitalizzazione pubblica dei crediti deteriorati delle banche.

«The Italian Job. Europe’s next crisis» è il titolo di copertina dell’Economist. Nel dettagliatissimo editoriale, e nel servizio da Milano, si dà ragione a Renzi: per curare la malattia l’Italia deve usare la norma che aggira il divieto europeo sugli aiuti di stato e usare i fondi pubblici. In caso contrario si «lascerebbe la porta del potere aperta al Movimento Cinque Stelle» definito come «un gruppo che attribuisce i problemi dell’economia italiana alla moneta unica». In altre parole, bisogna trovare ora una soluzione per le banche per evitare a Renzi di perdere altro consenso e dargli una stampella per affrontare il difficile autunno della sua breve vita politica. Si dà dunque per scontato che i Cinque Stelle saranno gli unici a capitalizzare il «No» eventuale e che Renzi rappresenti una «stabilità» da tutelare.

«Citigroup ha descritto il voto come “probabilmente il più alto rischio singolo nel panorama politico europeo di quest’anno al di là del Regno Unito”». Questa la tesi politica già esposta sulla prima pagina del Financial Times il 3 luglio scorso, dieci giorni dopo la «Brexit»: «I funzionari dell’Eurozona hanno iniziato a temere che le banche italiane siano l’anello debole dei sei anni di sforzi per rafforzare la moneta comune. Con il secondo debito pubblico più alto dell’eurozona dopo la Grecia, lo stesso governo italiano è a corto di denaro e funzionari europei temono che Roma avrebbe difficoltà a fare un salvataggio». Nonostante questo Renzi sarebbe «pronto a sfidare Bruxelles sul bailout per le banche italiane in difficoltà». «Una azione unilaterale ammaccherebbe la credibilità della Ue» ha avvertito Ft. E poi l’indiscrezione secondo la quale Renzi sarebbe pronto «a sfidare la Ue e a pompare unilateralmente miliardi di euro nel suo sistema bancario in difficoltà se arrivasse in grave pericolo sistemico». Si tratterebbe di «una mossa dell’ultima risorsa che darebbe uno schiaffo al nascente regime del blocco europeo per gestire le banche in difficoltà».

Alle nove del mattino dello stesso giorno è giunta una precisazione da Palazzo Chigi: «Quanto alle banche è noto che Renzi prediliga le soluzioni di mercato, nel rispetto delle regole vigenti in Europa». Questione di tattica: prima la minaccia, poi l’indiscrezione sulla soluzione: il riferimento è al «burden sharing», ovvero la «condivisione dei costi», la normativa sulla ricapitalizzazione precauzionale con il denaro pubblico degli istituti di credito in cambio dell’impegno degli azionisti e obbligazionisti a contribuire al capitale necessario. Il vice presidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis è favorevole e Renzi avrebbe anche incassato l’appoggio del presidente Juncker per «coprire» i piccoli risparmiatori che rappresentano l’anomalia del sistema bancario italiano e la vera spina nel fianco di Renzi. Un «crollo» del sistema li travolgerebbe con un danno elettorale incalcolabile, ancora più superiore a quello prodotto da Banca Etruria che ha colpito la ministra delle riforme Boschi.