La Repubblica di Corea è una delle principali potenze economiche dell’Asia (l’undicesima a livello globale), ha saputo costruirsi, nell’ultimo decennio, una pervasiva influenza culturale e politica, soprattutto grazie alla Quinta Colonna del soft power: K-drama, di cui fanno parte le rinomate serie tv coreane e il cinema. Non vanno però trascurati altri ambiti che hanno allargato in maniera magmatica la sua sfera d’influenza tra cui il calcio, le soap opera e il quanto mai discusso K-pop. Quest’ultimo, a sud del 38° parallelo, è diventato – con una lenta, ma inarrestabile progressione – un tassello fondamentale della celebre Korean Wave. Un complesso e variegato fenomeno socioculturale che ha consentito, al paese, di diventare uno degli epicentri della cultura pop a livello mondiale.

Valeria Del Prete

PER COMPRENDERE meglio che cosa rende realmente unico, nel suo genere, il K-pop, siamo stati accompagnati da una guida speciale sotto tanti aspetti: Valeria Del Prete, in arte «Val». Romana (con un passato come ricercatrice scientifica ed un dottorato in neuroscienze) ma londinese d’adozione, lavora come songwriter e vocal producer per superstar di quella che viene definita la «musica popolare» della Corea del Sud. Autrice di canzoni da dischi di platino, con ascolti e numeri record, ci ha regalato un quadro vivido di quello che è diventato un clamoroso fenomeno culturale nel Lontano Oriente.

«Credo che una delle chiavi principali del successo del genere, a livello internazionale, sia dato dalla capacità degli artisti del K-Pop di rivolgersi alle nuove generazioni» spiega Val. «I giovani, in questo particolare periodo storico più che mai, sono alla disperata ricerca della loro identità, e per farlo inseguono dei modelli e degli esempi da seguire. In Corea del Sud, questo bisogno viene perfettamente appagato con la possibilità, grazie all’ampia gamma di social network a disposizione, di seguire i propri idoli nella loro quotidianità, non per forza lieta e spensierata come molti immaginano. Questo ha creato un canale di comunicazione privilegiato tra artisti e fans».

«Mi piace paragonare i fan del K-Pop a tifosi di calcio», continua Val, «sono appassionati quanto competitivi, ma, in questo caso, anche in grado di influenzare in primissima persona il successo dei loro beniamini, con un dispendio economico e temporale non indifferente»

Per il modo in cui hanno saputo conquistare milioni di fan in tutto il mondo, i BTS (gli artisti più venduti in Corea del Sud e uno dei gruppi più popolari a livello globale), sono stati spesso paragonati ai Beatles ed associati alla cosiddetta «Beatlemania». Non semplici cantanti, ma artisti dello spettacolo a 360°, in grado anche di mostrarsi fragili agli occhi dei propri aficionados, con una grandissima attenzione nei confronti di temi delicati spesso sottovalutati dai media mainstream, asiatici e non (per esempio, salute mentale e discriminazione delle minoranze).

Circa 90 milioni di seguaci, soprannominati Army, capaci, non solo, di stare svegli tutta la notte per votare l’ultimo singolo e farlo schizzare in cima alle classifiche, ma di affittare, di tasca propria, i tabelloni a Times Square a New York per il quinto compleanno del gruppo. «Mi piace paragonare i fan del K-Pop a tifosi di calcio», continua Val, «sono appassionati quanto competitivi, ma, in questo caso, anche in grado di influenzare in primissima persona il successo dei loro beniamini, con un dispendio economico e temporale non indifferente».

COREOGRAFIE da urlo, estetica estremamente al passo con i tempi e scenografie di ultima generazione sono tra i segreti di uno dei più grandi fenomeni globali della scena musicale odierna. «I futuri K-pop idols, fin da giovanissimi (addirittura già a 10 anni), vengono allenati per ballare, cantare e recitare a livello professionale. Un training che ricorda molto più quello degli atleti che si preparano alle Olimpiadi che quello di X-Factor o American Idol. Una formazione severa e rigorosa che continua per diversi anni».

Più nello specifico del suo lavoro, Valeria Del Prete ci regala una serie di aneddoti che ci immergono nella curiosa quotidianità di un addetto ai lavori nell’industria del K-pop. «Ho ottenuto il mio primo disco di platino nel 2018 con le Twice – gruppo composto da 9 ragazze – ma non esiste una ricetta per scrivere un grande successo. Generalmente scrivo in inglese, poi il testo viene tradotto in coreano, anche se spesso vengono mantenute delle mie topline, soprattutto se sono considerate particolarmente accattivanti. Devo sempre considerare, però, che intorno alle mie canzoni verranno costruite delle coreografie, dove a degli elementi musicali viene affiancata una controparte visiva».

Prima di salutarci, Val confida un sogno nel cassetto, comune, in un modo o nell’altro, a tanti expat originari del Bel Paese: «In un prossimo futuro, mi piacerebbe lavorare nuovamente per un artista italiano. In fondo, le mie radici sono ancora lì».