La mozione che equipara antifascismo ed anticomunismo approvata, senza voti contrari, dal consiglio comunale di Genova città medaglia d’oro della Resistenza, non è il primo sfregio alla storia; rischia di non essere l’ultimo; viene da lontano.

Quel documento segna un nuovo atto di istituzionalizzazione e sistematizzazione di un fenomeno, prima carsico poi tracimante, proprio della società contemporanea: il populismo storico. Esso si configura come «malattia estrema» del revisionismo ed è in grado di esprimere una sua manifestazione a base di massa all’interno della sfera pubblica.

Sul piano comunicativo la prassi del populismo storico si nutre di un rapporto di reciproca influenza con quella parte della società tanto spuria e variegata, sul piano sociale e politico, quanto convergente e coesa in ordine all’estraneità culturale e valoriale rispetto al portato storico antifascista.

Il populismo storico muove la propria azione dall’alto verso il basso e attiva una meccanica di ricezione e «ritorno» presso l’opinione pubblica di forte impatto mediatico e diffusivo.

L’uso politico della storia che lo contraddistingue si caratterizza come torsione della conoscenza e viene utilizzato come forma di regolazione e controllo selettivo della memoria finalizzata al governo del presente.

Espressione istituzionale al più alto livello di tale fenomeno è stata la risoluzione europea del 19 settembre 2019. Quel documento (voluto da Polonia e Ungheria) con il voto di 535 deputati, compreso l’intero Pd eccezion fatta per tre dei suoi eletti, ha equiparato nazismo e comunismo accomunandoli sotto la categoria politologica del totalitarismo di arendtiana memoria.

Il precipitato storico e politico conseguente di questo indirizzo non può non minare alla base le fondamenta valoriali e costituzionali delle stesse democrazie europee, nate dalle ceneri di quella guerra nazifascista combattuta e vinta da una Resistenza composta in larga parte da donne e uomini militanti dei partiti comunisti clandestini del continente e sostenuti dalle forze dell’Armata Rossa che liberava i territori occupati dai nazifascisti ponendo fine alla guerra totale e liberando i sopravvissuti dai campi di sterminio come Auschwitz: «la prima pattuglia russa -scrive Primo Levi- giunse in vista del campo verso mezzogiorno del 27 gennaio 1945 erano quattro giovani soldati quattro uomini armati, ma non contro di noi; quattro messaggeri di pace».

Il rapporto tra le istanze del populismo storico espresse dall’alto e la base di massa destinataria del messaggio si caratterizza per un’intrinseca natura di subordinazione e tradisce, ancora una volta, la presenza del «sovversivismo delle classi dirigenti» indicato da Gramsci.

L’associazione di idee nazifascismo/comunismo diviene così un tratto caratteristico della narrazione controfattuale del populismo storico che sostituisce un preciso significato di valore all’oggetto dell’analisi degli eventi e si manifesta come elemento di superficie che trae forza non dal sapere scientifico ma dall’assonanza al «senso comune» su cui poggia.

I suoi promotori lo presentano come liberazione dalla cosiddetta «storia ufficiale» (ovvero l’esercizio metodologico-scientifico della disciplina) e tuttavia il populismo storico ricava le proprie istanze da armamentari ideologici da sempre presenti in seno alle componenti sociali ostili all’impianto valoriale antifascista emerso con la fine della seconda guerra mondiale.

È in questo quadro che il comune di Genova ha scelto di sfregiare le figure dei suoi figli migliori, divenuti nel corso della storia madri e padri della Costituzione e della Repubblica: da Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, a Teresa Mattei, la più giovane deputata eletta nel 1946, fino a Palmiro Togliatti.

Tutto senza che nessuno nell’aula del consiglio comunale abbia avuto la dignità di opporre il suo no.

Sappiamo però che Genova rappresenta nella storia del Paese qualcosa di infinitamente più grande di questa miseria. La resa della Wehrmacht tedesca firmata dai generali nazisti davanti a Remo Scappini, presidente del CLN della Liguria operaio e comunista; le giornate del luglio 1960 che impedirono il ritorno dei neofascisti al governo; la classe operaia genovese ed i suoi «camalli»; la protezione della città e le porte aperte ai manifestanti nelle giornate del G8 del 2001.

Da questo patrimonio di storia e di cultura la città potrà sempre attingere per cucire la ferita inferta dal voto della destra dei populismi e dall’astensione degli altri, gli «indifferenti».