La prima, irriverente risposta alla decisione del primo ministro turco Erdogan di bloccare l’accesso a Twitter è comparsa su alcuni muri di Istanbul. Sopra un manifesto elettorale con il suo volto è stato scritto il Dns (il Direct Number Service) per accedere a un computer al di fuori della Turchia e così aggirare la censura. Una tecnica già usata in altre occasioni, quando qualche governo centrale ha imposto rigide limitazioni per accedere a servizi o siti sgraditi alle autorità politiche.

È accaduto in Cina, ovviamente, ma anche in Iran, Egitto. Un metodo semplice, che attraverso il passaparola ha spesso consentito di aggirare i piccoli o grandi firewall per impedire di navigare liberamente in Rete.

L’annuncio di Erdogan di impedire l’uso di Twitter è stato infarcita di una buona dose di arroganza e con la presunzione che censurare la Rete sia una passeggiata. La censura del primo ministro, leader di un partito islamista considerato moderato in Europa, è resa possibile perché Erdogan ha un (involontario?) potente complice nell’Unione Europea che sta valutando la possibilità di far entrare la Turchia nelle strutture politiche e nel mercato unificato del vecchio continente. In passato, alcuni paesi avevano espresso dubbi sull’entrata di Ankara nella Ue a causa da un regime politico incline all’autoritarismo e proprio perché, in un riflesso «occidentalista», governato da un partito islamico. La prima reazione di Bruxelles alla censura di Ankara è stata all’insegna della preoccupazione.

Ma poi più niente. Da questo versante Erdogan può dunque dormire sonni tranquilli. La costernazione e le critiche dell’Unione Europea rimarranno infatti sulla carta e la censura potrà continuare indisturbata. Ad aggirarla ci penseranno i turchi, che già nei mesi scorsi, dalla rivolta di Gezi Park, hanno dimostrato che la Rete la conoscono e che la sanno usare bene.

Erdogan, tuttavia, ha inserito la sua decisione in una tendenza sempre più forte per quanto riguarda Internet. La Rete è stata sempre presentata come uno spazio comunicativo che ignora i confini nazionali. E’ cioè uno spazio globale, indifferente alle frontiere segnate nelle mappe geopolitiche e e geoeconomiche. Da alcuni anni a questa parte il cosmopolitismo della Rete è però sotto attacco. Sono ormai molti i governi che rivendicano l’esercizio della propria sovranità nazionale sulla Rete, rivendicando la possibilità di disconnettere le comunicazioni on line nazionali da quelle globali. Un brutto segnale di «territorializzazione» all’insegna di un politica del controllo che stabilisce un inedito monopolio statale nella definizione delle regole di connessione che condiziona, cioè limita la libertà di espressione.

Paladini di questo ritorno della controllo sulla Rete sono governi autoritari, di nuovo la Cina, l’Iran, ma anche «democratici», come gli Stati uniti, che proprio in nome della propria sovranità e sicurezza nazionale hanno legittimato l’azione di intelligence della Nsa.

Altrettanto spiegabile è perché la censura di Erdogan ha voluto colpire solo Twitter e non gli altri social network, spesso usati come privilegiato strumento per rendere pubbliche, sia all’interno che all’esterno, le critiche al governo di Ankara da parte di organizzazioni sindacali, politiche e sociali «dissenzienti». In Turchia, come ormai a livello globale, l’accesso alla Rete ha infatti come strumento diffuso i telefoni cellulari. E quando si va in Rete in questa maniera, Twitter è il social network privilegiato. Inoltre, il servizio di microblogging è uno strenuo difensore della neutralità della Rete. Twitter infatti si è sempre rifiutata di controllare cosa «postano» gli utenti, a differenza dell’asfissiante e bacchettona policy politicamente corretta di Facebook o di Google, accusati inoltre di aver collaborato anche con la Nsa statunitense nell’opera di spionaggio della Rete.

Erdogan può per il momento cantare vittoria. Ma c’è da giurare che quel dns scritto sul suo volto passerà da mouse in mouse e i cinguettii di rivolta antiautoritaria continueranno a manifestarsi. In Rete e fuori la Rete.