La Asl di Ancona dovrà verificare se esistono o meno le condizioni per l’accesso al suicidio assistito per un 43enne marchigiano da dieci anni immobilizzato e in condizioni irreversibili a causa di un incidente stradale. A stabilirlo è stato il tribunale del capoluogo marchigiano, raccogliendo le indicazioni della cosiddetta «sentenza Cappato» della Corte costituzionale.

È la storia di Mario – nome di fantasia che lui stesso si è dato per preservare la serenità familiare –, che da quasi un anno ormai si batte nel complicato campo della burocrazia sanitaria per il suo diritto a scegliere come morire.

Era il 28 agosto del 2020, infatti, quando Mario aveva presentato per la prima volta la sua istanza all’azienda sanitaria anconetana. Incassato il primo rifiuto, il 43enne si era rivolto già un’altra volta al tribunale, che però aveva confermato il diniego. Adesso, però, in seguito alla presentazione di una nuova istanza, i giudici hanno ordinato all’azienda sanitaria marchigiana «di provvedere, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente, ad accertare: se il reclamante sia persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili», di verificare «se lo stesso sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, se le modalità, la metodica e il farmaco (Tiopentone sodico nella quantità di 20 grammi) prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile (rispetto all’alternativa del rifiuto delle cure con sedazione profonda continuativa, e ad ogni altra soluzione in concreto praticabile, compresa la somministrazione di un farmaco diverso)».

Esulta l’associazione Luca Coscioni, che segue il percorso di Mario sin dal primo momento.

«Mario ci ha messo 10 mesi passando per 2 udienze e 2 sentenze, per vedere rispettato un suo diritto, nelle sue condizioni – dice Filomena Gallo, segretaria della Coscioni -. Non è possibile costringere gli italiani a una simile doppia agonia. Occorre una legge. Per questo a fronte di un Parlamento paralizzato e sordo persino ai richiami della Corte costituzionale è necessario un referendum. Per tutta l’estate chiederemo agli italiani di unirsi alla battaglia di Mario, e di altre persone che vogliono potere scegliere come morire, ma son costretti o a impegnativi viaggi all’estero o terminare la propria vita in un dolore che non vogliono sopportare.

In tutta Italia dovremo raccogliere 500.000 firme tra giugno e settembre ed è l’unica possibilità per legalizzare l’eutanasia in questa legislatura, altrimenti non se ne riparlerà prima di 3 o 4 anni, nell’ottimistica ipotesi che nel prossimo Parlamento ci sia una maggioranza favorevole. Stiamo ottenendo una risposta sorprendente, malgrado il silenzio della politica “ufficiale”, e puntiamo alle 10.000 disponibilità di volontari indispensabili per centrare l’obiettivo delle 500.000 firme da consegnare in Corte di Cassazione il 30 settembre».