Si svolge in un momento critico per l’agricoltura europea la «Festa del bio», organizzata il 9 marzo a Milano da FederBio, federazione che riunisce soci produttori, operatori dei servizi e della ricerca, trasformatori. Ne parliamo con la presidente Maria Grazia Mammuccini.

Una fotografia del comparto biologico in Italia.
Il fatturato (dati del luglio 2023) supera i 9 miliardi di euro, di cui 5,474 per il mercato interno. E’ coltivato in regime biologico il 18,7% della superficie agricola (la media Ue è intorno al 10%), le aziende del settore sono 93.000 (82.000 le agricole). Ma vanno aggiunte tante piccole realtà che, pur coltivando in bio, non certificano per via del peso della burocrazia. La superficie media delle aziende biologiche italiane è di 29 ettari, un po’ superiore a quella delle realtà agricole convenzionali. Il fatto è che il settore, lungi dall’essere un ritorno al passato, è molto innovativo, ha bisogno di conoscenze.

Nella «rivolta dei trattori», i prezzi sottocosto sono stati un elemento centrale.
Lo sono anche per noi, e da tempo ci siamo posti il problema. Abbiamo affrontato la questione puntando alla vendita diretta ai consumatori, anche con i distretti biologici e con i mercati degli agricoltori, oltre ai gruppi d’acquisto. Fondamentale poi il rapporto con le mense scolastiche, anche per l’educazione alimentare. La vendita diretta nel convenzionale corrisponde al 17,1% del totale, mentre nel bio raggiunge il 36,9%. Ma non basta. La Grande distribuzione organizzata (Gdo) ha un’incidenza importante sul mercato interno del bio, pari al 48%.

E lì, come si controllano i prezzi? Il problema viene sollevato anche dalla Coalizione Cambiamo l’agricoltura, di cui fate parte.
La quotazione del prodotto biologico era superiore, ma negli ultimi anni, per una serie di derrate, in particolare destinate alla Gdo, i prezzi al produttore si stanno allineando al convenzionale. E i costi di produzione sono superiori. Abbiamo fatto progetti pilota con alcune università per stabilire quelli medi, considerando la specificità del biologico. C’è però la necessità di avere uno strumento di riferimento nel pubblico, che dovrebbe essere l’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare). Per ogni prodotto sia nel convenzionale che nel biologico un’autorità pubblica deve stabilire il costo di produzione, per poi attivare strumenti normativi che impediscano le vendite sottocosto. Il disagio del mondo agricolo ha preso di mira anche le norme ambientali europee. Ma in una lettera al ministro Francesco Lollobrigida, 23 associazioni – fra cui Federbio – bollano la marcia indietro da parte della Commissione europea sulla maggior parte degli impegni ambientali della Pac (Politica agricola comune) 2023-2027.
Negli ultimi due anni i costi di produzione sono schizzati e i raccolti si sono ridotti, anche di percentuali a due cifre per via degli eventi estremi; per prodotti come il grano, poi, è anche diminuito il prezzo al produttore. Ma questa situazione strutturale è il punto di arrivo di un modello intensivo sbagliato dal punto di vista ambientale e anche economico e sociale, che ha puntato a produrre di più non per aumentare il reddito agricolo, ma per diminuire il prezzo al produttore. Sfruttamento della natura e delle persone sono due facce della stessa medaglia. Il Green Deal (con l’idea, fra l’altro, di ridurre del 50% i pesticidi di sintesi nei campi e gli antibiotici negli allevamenti) mette al centro il valore e il ruolo dell’agricoltore. Le strategie europee Farm to Fork e Biodiversità 2030 sono parte della soluzione anche al problema del reddito sostenibile in agricoltura. Fortunatamente, è stata approvata la Restoration Law europea: e al di là delle uscite pre-elettorali, le norme Ue dovranno essere coerenti.

I cambiamenti climatici, con eventi estremi, nuovi insetti e malattie, sono un’ulteriore sfida per l’agricoltura.
Certamente. Ma il biologico ha un approccio diverso, che guarda alla complessità: utilizza le rotazioni per non impoverire il terreno e non favorire l’insorgenza di malattie, sfrutta le consociazioni, mettendo insieme piante che si difendono a vicenda, ricorre a metodi di lotta naturali, come insetti utili, principi attivi naturali. Inoltre gli induttori naturali di resistenza stanno diventando una pratica diffusa anche nel convenzionale. I microrganismi del suolo, poi, hanno una funzione straordinaria di difesa dalle malattie, tanto che sta uscendo un regolamento europeo sul loro utilizzo. Dal biologico arrivano innovazioni strategiche per il futuro.

La Pac (il 30% del bilancio europeo) continua a privilegiare le grandi aziende. Cosa dovrebbe fare invece?
Il premio a ettaro è diventato una rendita di posizione, indipendentemente dall’utilizzo dei terreni: ci sono differenze incredibili, da centinaia di euro fino a decine di migliaia, un meccanismo ingiusto. I premi devono essere legati a funzioni di pubblica utilità, vanno redistribuiti sulla base dei servizi ecosistemici, e dunque accordati alle aziende che questi servizi offrono.

La concorrenza internazionale in dumping pesa anche nel bio?
Il nuovo regolamento europeo sul biologico prevede dal 2025 la conformità: chi vuole esportare in Europa deve produrre secondo le nostre norme. Questo toglie di mezzo la concorrenza sleale. L’esempio del bio dovrebbe essere esteso al convenzionale: si pensi alle norme sul lavoro, sui pesticidi vietati. Certo poi è meglio che il prodotto fresco sia consumato il più possibile localmente, per evitare costi energetici insopportabili.

Come si incentivano i consumi di cibi biologici, così da ampliare anche l’offerta?
Una proposta che facciamo da anni a ogni finanziaria, per ridurre il prezzo ai consumatori senza incidere sui margini delle aziende, è la fiscalità ambientale: ridurre i costi di certificazione portandoli a credito di imposta; abbassare al minimo l’Iva sui prodotti biologici, soprattutto nel caso delle mense pubbliche. Poi la comunicazione ai cittadini. Far comprendere l’importanza per la salute umana dell’alimentazione biologica, ed educare a un diverso modello di consumi – smettere di buttare cibo nei rifiuti, comprare di stagione, consumare meno carne.

Alla festa del Bio, il 9 marzo a Milano, la conferenza inaugurale è tutta al femminile e ha per titolo «Agricoltura e cibo: le donne guidano la transizione ecologica».
La percentuale femminile nell’agricoltura biologica è la stessa che nella convenzionale: il 30% degli addetti. Ma al vertice delle organizzazioni del mondo biologico, ricerca compresa, emerge un protagonismo delle donne. L’approccio centrato sulla cura e una grande creatività sono un valore indubbio.


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Dalla terra alla tavola, un assaggio del menù bio alla giornata milanese

Per scoprire i tanti benefici del cibo biologico, FederBio organizza un’intensa giornata il 9 marzo a Milano, a palazzo Giureconsulti, piazza dei Mercanti 2. Conferenze, approfondimenti con esperti, cucina, laboratori per grandi e piccoli. Il taglio del nastro alle 10,15 con la conferenza che mette al centro le donne protagoniste dell’agricoltura biologica e della rivoluzione agroecologica. Poi «I territori amano il bio», con le buone pratiche della campagna «Comuni liberi dai pesticidi». Inoltre tavole rotonde: «Storie di biodiversità. Parla il bio» (agricoltori rispondono alle domande di un esperto), e «Biologico e biodiversità, una radice comune per un legame indissolubile»: l’agrodiversità e la diversità selvatica, i servizi ecosistemici, il lavoro quotidiano con la natura, illustrati dalla Coalizione Cambiamo agricoltura. Ma anche show di cucina con tanto di giuria, per studenti che si contenderanno il premio «Mestolino bio». Assaggi e bioaperitivi. Lettura delle etichette (con Patrizio Roversi). E al Baby-Biopark tre laboratori: piccoli agricoltori urbani crescono (dal seme alle cura); pitture vegetali; educazione alla biodiversità.
Per il programma completo: https://www.festadelbio.it/tappe/milano-9-marzo-2024/#