Un passo in avanti, uno all’indietro e uno di lato. Il governo continua a ballare sulla giustizia seguendo uno schema consolidato: prima un roboante annuncio, poi la lunga trafila politica per renderlo una proposta concreta e infine una lunga attesa variamente motivata prima dell’approvazione definitiva. Così, dopo aver fatto slittare in avanti la riforma della separazione delle carriere della magistratura (che non andrà in aula alla Camera il 25 marzo come previsto ma approderà in consiglio dei ministri dopo Pasqua), adesso è il turno dell’abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata in consiglio dei ministri a giugno e ancora persa nei passaggi parlamentari. In realtà ne mancherebbe soltanto uno, alla Camera, ma in maniera del tutto imprevista non si andrà subito alla discussione e poi al voto ma, come nel gioco dell’oca, si ricomincerà da capo: i deputati hanno tempo fino a martedì per indicare le personalità da ascoltare.

«Si ascolteranno per la terza volta le stesse voci. Melina pura», commenta il deputato di Azione Enrico Costa, che pure sarebbe d’accordo con la destra sul punto ma che adesso lo vede allontanarsi nel nome di una lotta tutta interna all’esecutivo. Già perché questo balletto sulla giustizia serve soprattutto a lasciare sulla graticola il guardasigilli Carlo Nordio, ormai inviso alla premier, quasi commissariato dal sottosegretario (ed ex toga di Magistratura indipendente) Alfredo Mantovano e vittima anche di se stesso e delle sue spesso incaute uscite. L’ultimo scontro, consumato quasi allo scoperto, è stato sulla commissione d’inchiesta sui presunti dossieraggi e sull’inchiesta di Perugia sugli accessi abusivi alle banche dati investigative. Nordio era d’accordo e lo aveva detto a tutti. Meloni era molto meno d’accordo e ha cassato l’ipotesi con una frase. Una sconfessione in piena regola. Adesso c’è il nodo della separazione delle carriere, proposta che faceva parte del programma elettorale della coalizione di governo e alla quale Forza Italia tiene particolarmente. Ci terrebbe anche Nordio, per la verità, ma a questo punto il dettaglio è secondario.

Resta un problema di fondo: allo stato attuale delle cose la destra non sembra avere sufficienti voti parlamentari per evitare che si vada a referendum. E all’orizzonte di referendum ce ne sarebbe pure un altro: quello sulla riforma del premierato, cioè la vera madre di tutte le battaglie secondo Meloni, che, per quanto sicura di sé e a tratti addirittura spavalda, sa benissimo di non avere le forze per affrontare due campagne costituzionali di fila. In via Arenula, intanto, il clima è sempre più teso. Le dimissioni del capo di gabinetto Alberto Rizzo (ufficialmente per tornare a fare il magistrato, ufficiosamente per l’eccessiva invadenza della sua vice, l’ex forzista Giusi Bartolozzi) lasciano scoperta una casella decisiva. La spiegazione informale dell’impasse che sta paralizzando il ministero è che il Csm non avrebbe ancora reimmesso in ruolo Rizzo. La verità è che la questione sarà discusse al plenum di mercoledì. E non è mai stato un mistero per nessuno.