In Sardegna la campagna per il sì al voto del 17 aprile vede in prima linea il consiglio regionale, che il 23 settembre scorso ha approvato due mozioni e gli ordini del giorno con i quali è stata attivata la procedura per rendere possibile il referendum.
«Chiediamo – dice il presidente del consiglio Gianfranco Ganau – di ripristinare le date di scadenza delle concessioni, ma vogliamo che sia chiaro che c’è un significato politico più ampio». Ganau, Pd, è tra i primi promotori della raccolta di firme per la consultazione popolare, e anche da sindaco di Sassari ha sempre tenuto una posizione di tutela delle coste dell’isola messe a rischio dai progetti di perforazione dei fondali marini alla ricerca di gas e petrolio.

Qual è il segno politico del referendum?

L’ambiente è un nodo strategico primario. Lo è in Sardegna, dove è una risorsa fondamentale per la definizione di un modello economico alternativo a quello della grande industria chimica, che nella nostra regione è giunto ormai al capolinea. Dopo aver detto per decenni sempre ‘sì’ al petrolchimico, con risultati spesso discutibili, ora non possiamo condizionare le scelte di un settore per noi vitale, come il turismo, agli interessi dei petrolieri che vogliono avere mano libera sui nostri fondali. Ma oltre l’orizzonte regionale, che pure è decisivo per noi, c’è anche un orizzonte più vasto, che è quello della politica energetica nazionale e della coerenza di questa politica rispetto agli impegni presi dal nostro paese in sede internazionale. Non si possono sottoscrivere accordi come quelli definiti recentemente a Parigi alla Conferenza mondiale sul clima e poi consentire alle grandi compagnie di ottenere concessioni di sfruttamento dei giacimenti italiani senza scadenza. Non si può far decidere ai petrolieri quando e quanto prelevare.

C’è chi in questi giorni agita lo spettro della perdita di posti di lavoro.

E’ un problema che viene sollevato in maniera strumentale. Si crea un allarmismo del tutto ingiustificato. Se il sì vince, infatti, le piattaforme attualmente esistenti non saranno per forza smantellate. Saranno solamente ripristinate le date di scadenza delle concessioni, che non sono di breve periodo: si va dai dieci ai quindici anni. Durante i quali è sperabile che venga definita una politica energetica nazionale che sposti risorse – investimenti e occupazione – verso i settori delle energie rinnovabili, coerentemente agli impegni presi a Parigi. Questo è il futuro, in questa direzione bisogna andare.

E sull’invito all’astensione che viene dalla segreteria nazionale del suo partito?

Non mi stupisco che dentro un grande partito come il Pd anche sulla questione delle trivelle ci sia dibattito e si esprimano posizioni differenziate. Rientra nella normalità. Capisco che in Sardegna, ad esempio, ci possano essere dirigenti che si sentono più vicini alle posizioni della segreteria e altri che hanno una sensibilità, diciamo così, pro industria. Ma non è questo il punto. Il punto è che non si può schierare tutto il Pd per l’astensione. Chi è per il no lo dica, altrettanto chi è per il sì. Argomentando, possibilmente, le due diverse scelte. Ma dire ai cittadini che non bisogna andare a votare mi sembra un errore grave. La partecipazione a scelte decisive per l’intera collettività nazionale, attraverso uno strumento di larga consultazione popolare come il referendum, non può essere vista come un rischio o, ancora peggio, come una minaccia. Il Pd, ma tutte le forze politiche in Italia, hanno un problema serio di rapporto con i cittadini. Dare indicazione di astenersi al referendum del 17 aprile non mi sembra che aiuti nessuno a risolverlo, questo problema.

L’informazione ha fatto tutto ciò che doveva fare sul referendum?

Lo ripeto: il referendum ha un significato politico generale. Si deve decidere se sulle politiche energetiche nazionali dobbiamo andare avanti o tornare indietro. I media devono capire la portata della posta in gioco. Per questo mi associo all’appello di quanti in queste ore stanno sollecitando una maggiore informazione sul quesito abrogativo del 17 aprile. Il voto è una buona occasione per chiedere che le politiche energetiche nazionali siano sostenibili.