Con Trump le sorprese non mancano mai. I media e l’opinione pubblica americana non avevano ancora metabolizzato l’invito alla Casa bianca di Donald a Duterte (rigettato dal presidente filippino a modo suo: «Non ho tempo e devo prima andare da Putin») che ieri in un’intervista a Bloomberg Trump ha affermato di essere pronto a incontrare Kim Jong-un: «Se si rendesse opportuno incontrarlo, lo farei senz’altro. Ne sarei onorato», ha dichiarato il presidente.

Al netto del pericolo che Trump costituisce per il mondo, non si può non apprezzare la sua curiosità nei confronti di leader che, a loro modo, incarnano un’epoca. Ma forse contano di più il suo egocentrismo e la sua voglia di provocare: dopo aver irriso la Cina con un tweet sulla mancanza di rispetto di Kim a Xi Jinping, ora sembra porsi come unico argine al giovane leader coreano, alla faccia dei tanti tentativi, ostentati dagli stessi Usa, della leadership pechinese.

Kim Jong-Un, da parte sua, non sembra avere le parole pronte come Duterte e quindi ieri non ha risposto alla Casa bianca quanto agli Usa, minacciando nuovi cataclismi nucleari a seguito delle esercitazioni dei caccia americani, giapponesi e sud coreani, nell’ambito dei «giochi di guerra» voluti dai tre paesi come risposta alle intemperanze del giovane leader.

La stampa nord coreana conferma il disinteresse di Kim alle «aperture americane»: secondo quanto riporta un editoriale pubblicato sulla Kcna, gli Usa sono «in grave errore» se pensano che «Pyongyang possa scendere a compromessi» rispetto alla linea dello sviluppo missilistico e nucleare: una posizione già espressa nelle scorse settimane da un vice ministro degli esteri, a seguito della parata del 15 aprile a cui è seguito il primo dei due test missilistici falliti da Pyongyang.

L’atteggiamento di Trump, imprevedibile, sembra mettere in difficoltà anche il suo staff. Tillerson, il segretario di stato, qualche ora prima aveva specificato che non poteva esistere alcun dialogo, a meno di garanzie sull’abbandono del nucleare da parte della Corea del Nord.

E il vice presidente Mike Pence ha specificato che in ogni caso, le circostanze a cui ha fatto riferimento il presidente Trump «non ci sono».

Impassibile è parsa la Cina, che al momento sembra davvero avere poca voglia di scherzare. La sensazione è che Pechino non stia vivendo al meglio l’attuale situazione, in bilico tra una Corea del Nord sfuggente e gli Stati uniti che da un lato lodano l’impegno cinese, dall’altro sfoggiano muscoli tra esercitazioni e sistemi anti missilistici.

Sulla «sparata» verbale di Trump è intervenuto il portavoce del ministero degli esteri di Pechino che ha invocato – a nome di governo e leadership – il ripristino dei contatti tra Stati uniti e Corea del Nord «il più presto possibile» per evitare ulteriori escalation.

Il portavoce Geng Shuang, ha poi affermato che Washington e Pyongyang devono intraprendere iniziative concrete verso la pace. Ma Pechino non si è risparmiata sul resto dei problemi dell’area, in primo luogo il dispiegamento, da ieri effettivo, del sistema anti missilistico Thaad. Oltre alle critiche utilizzate da chi da tempo manifesta contro l’installazione, Pechino aggiunge la sua percezione che il sistema sia principalmente una mossa proprio in chiave anticinese, radar (molto potenti) compresi.

La Cina, ha sottolineato Geng, è pronta a prendere «le misure necessarie per salvaguardare i propri interessi»; una posizione già sottolineata nei giorni scorsi dal Pcc, preoccupato che lo scudo anti-missile made in Usa possa finire per inserirsi nei propri sistemi di sicurezza militari.

La settimana scorsa, dopo l’avvio dei lavori di installazione da parte degli Usa, il Ministero della Difesa cinese aveva sottolineato che la Cina è pronta a usare «armi ed equipaggiamenti di nuovo tipo» di cui starebbe facendo i test operativi, per salvaguardare la pace e la stabilità regionale.

Contro il Thaad si è schierato anche il favorito per la vittoria finale nella corsa presidenziale di Seul, Moon Jae-In, candidato per il Partito Democratico, e gli esperti cinesi i cui pareri sono stati riportati dal Global Times.

Secondo il direttore del Centro di ricerca per gli Studi sulla penisola coreana dell’Accademia di scienze sociali del Liaoning, provincia cinese che confina con la Corea del Nord, «se Pyongyang lanciasse un attacco contro la Corea del Sud potrebbe usare artiglieria convenzionale, quindi l’obiettivo del Thaad non è la salvaguardia contro la Corea del Nord, ma spiare Cina e Russia».