La rivoluzione ecologica carbonizzata dalla guerra in Ucraina, tra gli applausi della Confindustria e l’indignazione del Fridays For Future. Dopo avere archiviato il pacifismo e la neutralità sanciti nella Costituzione i Verdi innestano la retromarcia anche sulla svolta ambientalista.

«La Germania dovrà utilizzare più carbone per produrre energia elettrica. È una decisione amara ma necessaria», è il clamoroso annuncio del ministro dell’Economia, Robert Habeck, co-leader dei Grünen e numero due del governo Scholz. Un dietro-front a 360 gradi rispetto alle promesse scritte nero su bianco nel programma prima votato dagli elettori e poi ratificato dagli iscritti del partito, nonostante il vice-cancalliere assicuri che «l’uscita dal carbone rimane comunque irreversibile» e la data della chiusura definitiva dell’ultima miniera di lignite resta fissata al 2030.
Nel dettaglio, da qui ai prossimi due anni la Repubblica federale aumenterà il consumo di carbone di ben 10 Gigawatt.

«MENTRE HABECK con il ritorno al carbone vede solo un leggero aumento di CO2, noi constatiamo che il suo governo sta abbandonando l’obiettivo climatico di 1,5°C», denuncia Fridays For Future, ricordando le «promesse rimangiate» della ministra degli Esteri Annalena Baerbock.

L’ex candidata-cancelliera dei Verdi neppure un anno fa annunciava la svolta ecologica «tra gli alberi morti» delle montagne dell’Harz scandendo lo slogan stampato sui manifesti elettorali «Il tuo voto deciderà il governo che dovrà affrontare la crisi climatica, prima che sia troppo tardi».

Tra le misure emergenziali per ridurre la dipendenza dalle forniture di Mosca predisposte a Berlino nel fine settimana spicca anche il tetto massimo all’uso del riscaldamento domestico e l’inedita «asta del gas» che dovrebbe incentivare il risparmio da parte dell’industria nazionale. In pratica, tutte le aziende tedesche che dimostreranno di avere ridotto in maniera rilevante la propria bolletta energetica riceveranno dal governo una compensazione finanziaria.

«Ogni Kilowattora risparmiato conta. L’obiettivo è abbassare il più possibile il nostro consumo di gas», riassume Siegfried Russwurm, presidente della Federazione delle industrie tedesche, più che soddisfatto per il piano «cucito su misura» delle imprese messo in campo da Habeck.

SECONDO CUI la colpa per il «compromesso» (eufemismo per la riattivazione delle centrali a carbone) non è imputabile alla coalizione Semaforo ma unicamente a Vladimir Putin che continua a «ricattare» la Germania con la progressiva, ormai quotidiana, riduzione del flusso di gas pompato nel Nordstream-1, la pipeline russo-tedesca posata sul fondo del Mar Baltico. L’ultimo taglio del 60% annunciato la settimana scorsa da Gazprom (ufficialmente per motivi tecnici) ha «congelato gli obiettivi climatici», per dirla con le parole del leader della Confindustria.

Da qui la priorità del governo Scholz al «riempimento dei depositi nazionali di gas in vista del prossimo inverno, dall’attuale 57% fino al 90%», confermata ieri da Klaus Müller, responsabile dell’Agenzia federale delle Reti.

Altra prova dell’inversione di rotta della «Zukunft Koalition» («la coalizione del futuro») formata da Spd, Verdi e liberali, decisa a superare la crisi energetica con il ritorno al passato. Esattamente la stessa strategia appena adottata nella confinante Austria: ieri il governo di Vienna ha preannunciato la rimessa in funzione «nel giro di qualche mese» dell’inquinantissima centrale di Mellach, vicino a Graz, impianto a carbone dato per «chiuso per sempre» nella primavera 2020.

IL COSTO POLITICO del ripensamento dei Verdi? A livello di consenso nessuno; anzi. La seconda forza politica del governo Scholz vola nei sondaggi sfiorando quota 25% (tre punti sopra la Spd) come certifica la più recente rilevazione dell’istituto Forschunsgruppe Wahlen.

Poco importa se oggi ad applaudire il «pragmatismo e senso di responsabilità» dei Grünen non siano più i tedeschi preoccupati per le catastrofi naturali che regolarmente cancellano interi ecosistemi del Paese ma i campioni del made in Germany più energivoro.

Ancora meno se il partner di governo della Fdp fa sapere di voler togliere il veto perfino sul fracking, il devastante metodo di estrazione del gas naturale che – a sentire Torsten Herbst, capo della delegazione dei liberali al Bundestag – «grazie agli standard moderni non è poi così dannoso come si dice».