«Il principe Mohammed considera sua eccellenza (Donald Trump) come un vero amico dei musulmani, che servirà il mondo musulmano in un modo inimmaginabile». No, non è una barzelletta. Queste frasi sono contenute nel comunicato diffuso delle autorità di Riyadh dopo l’incontro di inizio settimana a Washington tra Trump e Mohammed bin Salman, 31 enne figlio del re dell’Arabia saudita Salman, nonchè vice principe ereditario e ministro della difesa. Non è finita. Stando al comunicato il principe Mohammad e il presidente Usa «hanno discusso l’esperienza di successo dell’Arabia saudita nella costruzione di una recinzione sul confine con l’Iraq, che ha portato a prevenire l’ingresso illegale di persone ed operazioni di contrabbando». Il rampollo di casa Saud quindi ha esortato Trump ad andare avanti con il suo progetto per la costruzione di una barriera lungo tutto il confine tra gli Usa e il Messico. Dulcis in fundo Mohammed bin Salman ha trovato legittimo il provvedimento esecutivo del presidente americano che blocca l’ingresso negli Usa ai cittadini di sei Paesi a maggioranza islamica, lasciando fuori, ovviamente, l’Arabia saudita. «Questa misura è una decisione sovrana volta a impedire ai terroristi di entrare negli Stati Uniti d’America», recita il comunicato diffuso da Riyadh, tralasciando il “particolare” dei passaporti sauditi di cui erano in possesso 15 dei 19 dirottatori dell’11 settembre.

È scontato a questo punto un passo del presidente dalla chioma gialla volto a silurare il Justice Against Sponsors of Terrorism Act (Jasta), la legge che autorizza i parenti delle vittime degli attentati del 2001 a fare causa ai paesi stranieri che ritengono essere coinvolti negli attacchi sul suolo americano. Il Paese è uno solo, l’Arabia Saudita, sospettata di aver fornito sostegno al piano di al Qaeda. I Saud, l’anno scorso, avevano protestato dopo la sua approvazione da parte del Congresso, minacciando di ritirare gli investimenti per centinaia di miliardi di dollari che hanno fatto negli Stati Uniti. Poi alla Casa Bianca è entrato Trump ed è cambiato tutto. Le relazioni tra i due Paesi sono tornate floride come e più di prima. È quasi superfluo riferire della soddisfazione con la quale i media sauditi hanno salutato l’ingresso del principe Mohammed nello Studio Ovale.

Dopo gli «anni amari» della presidenza Obama, culminati nell’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano contestato dalla casa reale saudita, ora a Riyadh non solo tirano un sospiro di sollievo ma guardano anche a come consolidare i rapporti con l’Amministrazione Usa. E in questi casi non c’è di meglio di un buon affare, come ai bei tempi dei presidenti Bush padre e Bush figlio. Mohammed bin Salmam e Donald Trump hanno discusso lo sviluppo di un programma congiunto, da 200 miliardi di dollari, nel settore dell’energia, del commercio e delle infrastrutture. Il principe saudita ha anche illustrato il suo piano Vision 2030 che prevede la creazione di un fondo di investimento sovrano che potrebbe essere il più grande nel mondo.

Non è sfuggito che l’invito a Washington sia stato fatto al vice principe ereditario e a Mohammad bin Nayef, il primo in linea di successione, che pure era stato l’interlocutore privilegiato di Mike Pompeo durante la recente missione del direttore della Cia a Riyadh. Secondo l’autorevole giornale arabo online Raiaalyoum «Trump si rende conto che (Mohammed bin Salman) ha ricevuto ampi poteri economici, politici e di sicurezza…e che ha voce in capitolo in tutte le decisioni del regno. Nonostante la sua giovane età è dietro le decisione di andare in guerra in Yemen, di vendere le azioni della Aramco e di fondare la Coalizione araba (contro l’Iran)». La benedizione di Washington, prevede Raiaalyoum, potrebbe favorire l’ascesa al trono di Mohammed bin Salman a danno del principe ereditario Mohammad bin Nayef.

Una benedizione da Trump la aspetta anche Benyamin Netanyahu che ieri ha incontrato di nuovo Jason Greenblatt, inviato speciale del presidente Usa. Il primo ministro vuole un accordo Usa-Israele sull’espansione degli insediamenti ebraici nei Territori palestinesi occupati e ha ribadito ieri la volontà di costruire una colonia ex novo. Dopo il nuovo faccia a faccia l’ufficio del premier israeliano ha comunicato che «sono stati fatti progressi». Greenblatt ieri ha avuto colloqui con i leader del movimento dei coloni.