Nei primi otto mesi del 2023 l’Italia ha rimpatriato forzatamente 2.770 persone. 3.275 in tutto il 2022. Praticamente come nel biennio 2018-2019, quando al Viminale c’era Salvini e il dato aveva superato leggermente i 3.400. Insomma, anche con la destra al governo questi numeri cambiano poco, nonostante le rituali promesse di tolleranza zero e pugni di ferro.

L’ultima l’ha fatta l’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che durante la presentazione del dossier Viminale di Ferragosto aveva annunciato «entro settembre» un nuovo pacchetto sicurezza per aumentare i rimpatri. Vedremo che succederà, anche se il tema riguarda più i rapporti politici e diplomatici con i paesi terzi che la politica interna. Non si modifica per decreto.

Intanto, però, si può notare che per il governo Meloni le cose non vanno bene neanche con il partner su cui ha insistito di più, cioè la Tunisia di Kais Saied. I tunisini rappresentano la terza nazionalità degli arrivi via mare: 11.402 persone su un totale di 125.928. Ma sono la prima per numero di rimpatri forzati: 1.441 al 31 agosto scorso. Alla fine di dicembre 2022 le persone riportate nel paese nordafricano contro la loro volontà erano state 2.308. Su per giù il dato resta costante in termini assoluti, ma quest’anno gli sbarchi sono raddoppiati: proporzionalmente dunque è molto più basso. Le seconde e terze nazionalità di rimpatriati sono Albania ed Egitto, ma qui si parla di spicci: 362 persone a Tirana e 212 al Cairo.

«I rimpatri forzati sono molto complicati, non sono risolutivi», ha detto ieri il garante nazionale dei diritti dei detenuti Mario Palma, durante una conferenza in cui ha presentato questi numeri. Secondo Palma «serve una politica che incentivi i rimpatri volontari». Soprattutto: «bisognerebbe spendere per includere quello che oggi si spende per respingere».