I civatiani di Possibile hanno presentato otto quesiti referendari. Due sull’Italicum (ora l. 52/2015), e poi in tema di ambiente, opere pubbliche, lavoro e Jobs Act, scuola. Un’iniziativa referendaria è un elemento di outing politico, e come tale richiede coraggio e va apprezzata.

Ma basta il coraggio?

Negli ultimi venti anni molti a sinistra – incluso chi scrive – si sono battuti allo stremo per ottime cause referendarie, e hanno perso. È questa, e non ignavia politica o voglia di esser primi della classe, la ragione oggi di qualche prudenza.

È la consapevolezza che raccogliere almeno 600mila firme – la minima quota di sicurezza – richiede un’organizzazione radicata e distribuita sul territorio, e fondi considerevoli. È sapere che gli avversari hanno il vantaggio di un astensionismo consolidato che supera ormai il 30 per cento, mentre per la validità di un referendum abrogativo si richiede il voto della metà più uno degli elettori. Gli avversari puntano sull’astensione piuttosto che sul no. E la buona volontà da sola non vince.

Per questo un referendum va pensato accuratamente dal quesito al voto, con la più larga condivisione possibile. Ed è buona regola che una lenzuolata referendaria sia il risultato di una ampia coalizione già costruita con i mondi di riferimento, e non il mezzo per tentare di costruirla. Per quel che sappiamo, una tale coalizione per i quesiti di Possibile al momento non c’è. Quindi, il modo migliore di valorizzare l’iniziativa è vederla come avvio di una riflessione tutta ancora da sviluppare.

È utile allora segnalare una oggettiva debolezza dei due quesiti sull’Italicum. A quanto leggiamo, uno è volto alla abrogazione totale della legge 52/2915. Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, un quesito totalmente abrogativo della legge elettorale è in principio inammissibile, in quanto la legge elettorale è «costituzionalmente necessaria». Ma il nuovo sistema elettorale si applica, per espresso dettato della legge 52, a partire dal primo luglio 2016. Eventuali elezioni anticipate prima di quella data si svolgerebbero con il ”Consultellum”, un proporzionale di lista a preferenza unica. Tale è il sistema elettorale risultante dalla sentenza 1/2014 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del Porcellum. Quindi l’argomento è che fino al 1 luglio 2016 l’abrogazione totale della legge 52/2015 non determinerebbe alcun vuoto normativo tale da condurre all’inammissibilità del quesito.

Ma è davvero così?

Si può dire in senso contrario che per una parte la legge 52 è immediatamente applicabile, con un termine di 90 giorni per una delega al governo sulla definizione dei collegi. Quando il governo adotterà i decreti delegati, la disciplina introdotta sarà vigente e sottratta al quesito referendario totalmente abrogativo ora proposto. Questo potrebbe tradursi nell’inapplicabilità del Consultellum, e in una ragione di inammissibilità del quesito stesso.

Ancor più rileva che tutto si tiene sul presupposto di un voto referendario non oltre il 30 giugno 2016. Per questo, le firme – come si è detto, almeno 600mila – vanno raccolte e consegnate in Cassazione entro il prossimo 30 settembre. Bisognerebbe da oggi e per due mesi raccogliere con le dovute formalità circa 10mila firme ogni giorno, incluso Ferragosto. Sono forse poche? Chi, come e dove le raccoglie? Non riteniamo possibile che gli amici e compagni di Possibile avviino la propria battaglia politica tentando l’impossibile. È probabile allora che andiamo comunque a una raccolta di firme nel 2016 e al voto nel 2017, rimanendo così fuori gioco l’abrogazione totale dell’Italicum. E dunque è di fatto in campo un solo quesito: in buona sostanza, sul voto bloccato e le candidature plurime dei capilista.

Troppo poco. Il tema dei capilista è importante. Ma non è il fulcro del disegno autoritario renziano, che si trova piuttosto nel premio di maggioranza, nel ballottaggio senza soglia, nel divieto di collegamento e di apparentamento tra primo e secondo turno. In un sistema ormai proiettato verso un’articolazione almeno tripolare, queste sono le basi per numeri parlamentari garantiti e posticci che consegnano a un singolo partito minoritario e al suo leader non solo le istituzioni rappresentative, ma anche una decisiva influenza sugli organi di garanzia. È ancora in tal modo che si indebolisce la stessa rigidità della Costituzione, pietra angolare del sistema democratico. Si aggiunga che i collegi di piccola dimensione geneticamente favoriscono i grandi partiti, reintroducendo un effetto sostanziale di soglia che contribuisce a comprimere la rappresentatività.

Non si arma il cannone referendario solo per i capilista. Magari la scelta viene dal timore di apparire passatisti. Ma la vicenda dell’acqua pubblica dovrebbe insegnarci che un attacco referendario può avere successo, e tuttavia essere successivamente eluso. Bisogna contrastare l’autoritarismo leaderistico e autoreferenziale che produce politiche conservatrici, regressive, chiuse alla partecipazione democratica. Vanno battute l’ossessione della governabilità sopra tutto, e l’ipocrisia per cui ampia rappresentatività è sinonimo di inefficienza istituzionale. Per questo l’attacco referendario all’Italicum è di sicuro essenziale. Ma per un progetto di ampio restauro della democrazia, e non per un lifting sui capilista.