Hanno sfilato sul tappeto rosso accompagnati dai loro cavalli i cowboy di The Magnificent Seven, o meglio la delegazione del film di Antoine Fuqua giunta sul Lido per presentare il blockbuster che chiude fuori concorso il Festival di Venezia, presentato in anteprima mondiale a Toronto pochi giorni fa. Insieme al regista ci sono Denzel Washington e Chris Pratt, nell’ordine il capo dei magnifici sette Sam Chisolm e il pistolero con la passione per il gioco d’azzardo Farraday. Il film è il remake del western omonimo di John Sturges del 1960, a sua volta il libero adattamento di I sette samurai (1954) di Akira Kurosawa. Ma la vera ispirazione, dice il regista, viene da Sergio Leone «che ha reso il western un genere moderno e forse addirittura più veritiero di quello classico, per l’ambiguità morale dei personaggi che lo popolano».

La storia, a grandi linee, ricalca però quella del film di Sturges: nell’America di frontiera del periodo immediatamente successivo alla guerra civile, la cittadina di Rose Creek è minacciata dal robber baron Bartholomew Bogue, che vuole cacciare gli onesti coloni per impadronirsi delle loro terre. È così che gli abitanti di Rose Creek mettono tutti i loro averi a disposizione di una banda di mercenari incaricati di difendere la città: oltre a Chisolm e Farraday, l’ex confederato Goodnight Robicheaux (Ethan Hawke, che dopo Training Day torna a recitare in un film di Fuqua al fianco di Denzel Washington), il cacciatore di scalpi Jack Horne (Vincent D’Onofrio) , il cinese abile coi coltelli Billy Rocks (Byung hun-Lee), il fuorilegge messicano Vasquez (Manuel Garcia-Rulfo) e persino un cheyenne in cerca di avventura interpretato da Martin Sensmeier.

I sette protagonisti, osserva Denzel Washington: «Non hanno un background, una storia alle spalle. Sanno solo che forse nemmeno Dio potrà perdonarli». Sette cowboy o anche «samurai» come li chiama il regista, «che si scontrano contro le prevaricazioni dei potenti contro i più deboli».

«È un western contemporaneo – aggiunge Antoine Fuqua – ma non l’abbiamo fatto apposta. Ci si può vedere il terrorismo, le sopraffazioni. Nelle nostre intenzioni però non c’è nessun contenuto politico: è solo intrattenimento. Ma se c’è chi lo vuole vedere così, faccia pure. Ognuno dà la sua interpretazione in base a quello che ha dentro se stesso».
Per Washington, interpretare il capo dei magnifici sette è una sorta di rivalsa sul passato: «Da piccoli – racconta – come tutti giocavamo a cowboy contro indiani e guardavamo Bonanza in televisione ma mio padre, un pastore della chiesa locale, non ci lasciava guardare western. Ora invece con questo film ho potuto vestirmi da cowboy, con il vestito nero, il cappello nero, andando in giro a sparare. È stato come tornare bambino».