Cari studenti,

Oggi è il primo giorno di lezione per voi del corso di laurea magistrale. A causa dell’epidemia in corso, siamo costretti ad avviare le lezioni online.

Prima di spiegare il programma di oggi, permettetemi di fare una breve digressione.

Quando ero piccolo, i miei genitori mi redarguivano sempre quando mi capitava di commettere lo stesso errore due o tre volte di seguito. Allora mi chiamavano in disparte e puntandomi il dito contro mi sgridavano: “Ma sei proprio smemorato!”

Anche in classe succedeva spesso. Quando proprio non riuscivo a memorizzare la lezione, il maestro mi ingiungeva di alzarmi in piedi apostrofandomi davanti a tutti: “Ma sei proprio smemorato!”

La memoria è il terreno in cui pullulano i ricordi, i quali a loro volta alimentano e accrescono la memoria stessa. Gli esseri umani sono sostanzialmente diversi dagli animali e dal regno vegetale proprio in virtù dei ricordi e della memoria. Si tratta di un prerequisito fondamentale per crescere e maturare. Molte volte ho pensato che la memoria fosse financo più importante del cibo, dei vestiti e dell’aria che respiriamo.

Questo perché quando perdiamo la memoria, perdiamo anche la capacità di cucinare e di coltivare la terra. Non ricordiamo più come si usano gli strumenti che abbiamo a disposizione. Se ci svegliamo nel cuore della notte, non rammentiamo neanche dove abbiamo messo i vestiti. Potremmo finire col credere davvero alla storia I vestiti nuovi dell’imperatore, secondo cui l’imperatore avrebbe un aspetto più regale ed elegante senza abiti addosso.

Forse vi starete domandando perché vi sto raccontando queste cose. L’epidemia da Covid-19 è ormai di entità mondiale. La situazione non è ancora sotto controllo e il pericolo di contagio è tutt’altro che rientrato. In questo preciso istante a Wuhan, nella provincia dello Hubei, così come in molte altre città, tante famiglie sono distrutte dalla perdita dei loro cari e pianti di angoscia e disperazione risuonano senza tregua nelle orecchie dell’umanità.

Eppure, dopo aver visto un lieve calo nel numero dei contagi, c’è già chi ha tirato fuori i tamburi e si sta rischiarando la voce pronto a cantar vittoria.

Da un lato i cadaveri sono ancora caldi e le grida disperate non si sono ancora placate, dall’altro il trionfo pare essere imminente. Già si profila all’orizzonte un’ondata irrefrenabile di euforia.

Il Covid-19 è entrato strisciando nelle nostre vite. Ad oggi, non abbiamo ancora capito quante persone siano morte dopo aver contratto il virus: quante persone abbiano esalato l’ultimo respiro in ospedale e quante fuori. Non ci è dato sapere. Non abbiamo fatto in tempo a condurre un’indagine accurata, non siamo riusciti a trovare delle risposte.

Col passare del tempo risulta tutto più difficile. Rimarrà un enigma irrisolto. Nessuna prova tangibile su cui la memoria possa fare appiglio. Una pagina oscura in un libro di domande e punti interrogativi in lascito ai posteri. Una volta passata l’epidemia, non dobbiamo comportarci come zia Xianglin, noto personaggio del racconto breve Il sacrificio di capodanno di Lu Xun, che continua a lamentarsi dicendo: “Fui davvero stupida! Sapevo che quando nevica le bestie scendono dalle montagne nei villaggi in cerca di qualcosa da mangiare; ma non sapevo che potesse accadere in primavera.”

Allo stesso tempo però non dovremmo neanche fare la fine di Ah Q, personaggio de La vera storia di Ah Q di Lu Xun, che persino quando viene percosso, umiliato ed è sul punto di morire, imperterrito continua a pensare di essere un uomo imbattibile, perennemente vittorioso.

Le nostre vite sono un succedersi inesorabile di tragedie e di disastri; nel periodo storico e nella realtà in cui viviamo, siamo sommersi da disgrazie a livello individuale, famigliare e nazionale. Perché questo ciclo inarrestabile pare non volersi fermare?

Per quale motivo sono i corpi della gente comune a dover colmare le voragini della storia e le nostre vite a doversi accollare il fardello delle disgrazie della nostra epoca?

Tra i tanti, tanti fattori di cui non siamo a conoscenza, su cui non facciamo luce, o sui quali non solleviamo alcun quesito se non ci viene permesso, ce n’è uno che mi sta particolarmente a cuore: in quanto esseri umani – migliaia di persone insignificanti come formiche o grillotalpe – siamo fin troppo privi di memoria.

I nostri ricordi personali vengono pianificati, sostituiti e finiscono per essere cancellati. Ci ricordiamo solo quello che ci viene permesso di ricordare e dimentichiamo il resto a comando. Quando ci impongono il silenzio, rimaniamo muti. E quando ci invitano a cantare, leviamo cori altisonanti di euforica vittoria. La memoria individuale è diventata strumento dei tempi.

Sono la memoria collettiva e quella nazionale a distribuire i ricordi decidendo cosa dobbiamo dimenticare e cosa dobbiamo invece scolpire nella memoria.

Riflettete un attimo. Senza andare troppo indietro nel tempo. Non c’è bisogno di pensare agli eventi epocali che hanno lasciato il segno nella storia o ne hanno perfino cambiato il corso. Pensiamo anche solo agli ultimi vent’anni.

I ragazzi che come voi sono nati negli anni ottanta e negli anni novanta sicuramente hanno vivo il ricordo di drammi nazionali, quali l’epidemia di AIDS, la SARS e l’attuale Covid-19. Si tratta di catastrofi imputabili all’uomo?

O di calamità naturali, percepite da alcuni come un castigo divino, dinanzi alle quali l’uomo è inerme, come il terremoto di Tangshan nel 1976 o quello del Sichuan nel 2008? Perché sembra quasi che siano gli stessi eventi a ripetersi senza sosta? Pensate all’epidemia di SARS di 17 anni fa, a come si diffuse, a come fece incetta di vite e alle somiglianze col recente Covid-19: sembra una nuova proiezione della stessa tragedia, un film inscenato e diretto dal medesimo regista.

Nella nostra insignificanza di piccoli granelli di polvere in balìa del vento, non ci è permesso né di sapere chi è il regista, né tantomeno abbiamo le conoscenze professionali per ricostruire le idee, il pensiero e il processo creativo dello sceneggiatore. Quindi, adesso che ci troviamo di nuovo dinanzi al dramma della morte, possiamo almeno chiedere dov’è finito il ricordo dell’ultima tragedia?

Chi ha cancellato la nostra memoria? Chi ha strappato i nostri ricordi?!

Chi non ha memoria è come il terriccio nei campi o sulle strade. Il suo destino viene decretato dalla suola delle scarpe di cuoio che lo calpestano.

Coloro che non hanno memoria sono, in sostanza, pezzi di tronco e assi di legno ormai privi di vita. Il loro futuro, nella forma e nell’essenza, viene sancito dalla sega e dalla scure.

Per noi autori, che amiamo la scrittura e con essa conferiamo senso alla nostra esistenza, ma anche per voi, studenti della magistrale presso la Hong Kong University of Science and Technology, così come per tutti quegli scrittori in erba che si sono da poco laureati alla Renmin University of China o che stanno ancora studiando scrittura creativa, ebbene se anche noi rinunciamo alla memoria individuale, che come linfa vitale ci scorre nelle vene, che senso ha continuare a scrivere? Che valore potrà mai avere la letteratura?

A che servono gli scrittori nella nostra società? Continuare a scrivere indefessi, lavorare sodo… tutti questi letterati non equivalgono forse a delle marionette che si muovono a comando? Ormai i giornalisti non scrivono ciò che vedono con i propri occhi, gli scrittori non scrivono ciò che hanno esperito e non danno voce alla propria memoria individuale.

Nell’opinione pubblica, chi può parlare e chi è in grado di parlare legge e recita un copione scritto secondo la retorica nazionale intrisa di puro lirismo. E allora chi potrà mai dirci qual è la verità nuda e cruda e qual è il vero senso della nostra esistenza a questo mondo?

Pensateci bene. Se oggi a Wuhan non ci fossero i racconti della scrittrice Fangfang che con la sua penna è riuscita a dar voce alla propria memoria ed esperienza, se non ci fossero migliaia di persone come Fangfang che con i loro cellulari ci mandano video di lamenti strazianti e grida di dolore, cosa saremmo costretti a sentire? Cosa ci propinerebbero? Cosa vedremmo?

Nel vortice del grande torrente dei tempi, la memoria personale viene spesso considerata come schiuma ridondante, un futile zampillo o come un rumore assordante da mettere a tacere. Viene scartata, gettata via o messa da parte. Viene fatta tacere, ridotta al silenzio, come non fosse mai esistita.

Di conseguenza, al trascorrere inesorabile del tempo subentra, imponente, l’oblìo. L’anima di chi non c’è più si libra in volo. La calma torna a regnare sovrana. Quella piccola leva in grado di sollevare il mondo viene meno anch’essa. In questo modo, la storia diviene leggenda, oblìo e immaginazione, senza alcun fondamento. Da questo possiamo evincere quanto sia importante nutrire la nostra memoria, alimentarla, avere ricordi personali che non vengano modificati o erosi.

È la soglia minima per poter pronunciare qualche frammento di verità. Soprattutto voi, ragazzi, che studiate per diventare scrittori, tenete presente che la memoria è alla base della scrittura, un processo creativo volto alla ricerca del vero. Se anche noi un giorno non dovessimo più alimentare quello stralcio di verità e quel barlume di memoria, a quel punto avrà ancora senso parlare di verità individuale e veridicità storica?

A dire il vero, anche se la memoria individuale non cambierà il mondo o la realtà dei fatti, se non altro dinanzi a una verità unificata e pianificata, potremo sempre sussurrare a fior di labbra: “Le cose non stanno in questi termini!”.

Quando giungeremo a un punto di svolta nella lotta all’epidemia attuale, assordati dai rulli di tamburi e dal clamore trionfale delle celebrazioni di vittoria, potremo ancora udire e ricordare quelle grida strazianti e il pianto dei singoli individui, delle famiglie e degli emarginati.

Non sarà la memoria individuale a cambiare il mondo, ma se non altro ci permette di avere un cuore autentico.

La memoria individuale non è necessariamente una forza in grado di cambiare la realtà, ma può almeno aiutarci a disegnare un punto interrogativo nei nostri cuori al sopraggiungere di una menzogna. Se non altro, se un giorno dovesse esserci un nuovo Grande Balzo in Avanti, almeno saprò che la sabbia non si trasforma in ferro e che la resa per mu non può raggiungere i 50.000 chilogrammi. Questo ce lo insegna il buon senso.

Non crederemo più al miracolo che la coscienza possa creare materia e che l’aria possa produrre cibo. Almeno se un giorno dovesse esserci di nuovo una rivoluzione foriera di un decennio di disastri, possiamo garantire che non manderemo più i nostri genitori in prigione e alla ghigliottina.

Cari studenti, siamo tutti cultori delle arti liberali. Ci affidiamo al linguaggio per fare i conti con la realtà e con la nostra memoria. Per quanto riguarda la memoria, non ci soffermiamo su quella collettiva o quella nazionale poiché, nel corso della nostra storia, la memoria nazionale e quella collettiva hanno sempre cercato di coprire e di modificare la nostra memoria individuale.

Oggi, in questo preciso momento, in cui il Covid-19 è lungi dal condensarsi nella memoria, tutt’intorno a noi già riverberano canti trionfali che senza ritegno festeggiano a suon di tamburo. Ed è proprio per questo motivo, cari studenti, che mi auguro che questa epidemia possa impartirci una bella lezione. Cerchiamo di diventare esseri pensanti dotati di memoria nella quale imprimere i nostri ricordi.

Tra non molto tempo, com’è facilmente immaginabile, il Paese canterà vittoria con sonori squilli di trombe e roboanti rulli di tamburi. Spero che noi non contribuiremo a comporre futili melodie altisonanti. Limitiamoci a essere persone autentiche dotate di memoria individuale.

Quando una pioggia di applausi scroscerà sommergendo cielo e terra, mi auguro che nessuno di noi salga sul palco a ricevere gli elogi delle folle plaudenti.

Limitiamoci a guardare lo spettacolo da lontano con gli occhi velati di calde lacrime, deboli e impotenti. Il nostro talento, il nostro coraggio e la nostra forza d’animo se non ci bastano per diventare scrittori del calibro di Fangfang, se non altro ci possono servire a non unire le nostre voci al coro di dissenso e di derisione nei suoi confronti.

Quando la quiete tornerà a regnare sovrana, accompagnata da un oceano di canti trionfali, se non possiamo dar voce ai nostri dubbi sull’origine e la diffusione del Covid-19, anche il semplice sussurrare a fior di labbra sarà un atto di coraggio per la nostra coscienza.

Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie, ma ricordatevi che non dar voce alla propria coscienza, rimanere in silenzio e cadere nell’oblìo non solo è un atto di barbarie, ma è financo più disumano, ancor più preoccupante.

Se non riusciamo a lanciare l’allarme alla stregua di Li Wenliang, cerchiamo almeno di prestare attenzione a coloro che lo faranno.

Se non potete parlare ad alta voce, sussurrate; se non potete neanche sussurrare, rimanete in silenzio, ma alimentate la vostra memoria. Sempre e comunque. Presto si leverà un coro di voci che in giubilo canteranno vittoria.

Quando ciò accadrà, in seguito alla sconfitta del virus, mettiamoci in disparte e riflettiamo in silenzio, senza farci prendere dall’euforia del momento. Innalziamo un sepolcro nel nostro cuore. Lasciamo che il ricordo di quanto accaduto scalfisca la nostra anima. Solo così un giorno potremo tramutare questi ricordi in memoria individuale e tramandarla alle generazioni future.

21 febbraio 2020. Pechino