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I malati oncologici di Gaza a rischio espulsione

I malati oncologici di Gaza a rischio espulsioneDue dei palestinesi di Gaza che rischiano l'espulsione – Michele Giorgio

Gaza-Gerusalemme Una decisione dei giudici israeliani potrebbe rimandarli già domani nella Striscia in guerra nonostante le loro condizioni di salute

Pubblicato circa un mese faEdizione del 5 settembre 2024
Michele GiorgioGERUSALEMME

«Io a Gaza ci tornerei subito, chiamerei un taxi adesso e partirei senza esitazioni. Però ho il cancro e ho bisogno di cure che posso avere solo qui a Gerusalemme, a Gaza gli ospedali distrutti o funzionano al minimo. E non ho più una casa, è stata distrutta da una bomba. Stare in strada, soggetto a continui ordini di evacuazione è la mia condanna a morte». Hussein Radwan, 49 anni, è stato operato da poco e solo ora comincia a recuperare le forze. Da oltre un anno passa i suoi giorni tra un modesto hotel e l’Augusta Victoria di Gerusalemme, l’ospedale oncologico dell’Onu per i palestinesi di Cisgiordania e Gaza. Assieme a lui ci sono altri 21 pazienti, tra i quali due bambini, e altrettanti accompagnatori. Una piccola porzione degli oltre 2mila abitanti di Gaza ammalati di cancro registrati al ministro della sanità. Hussein Radwan attende con ansia assieme agli altri la decisione di un tribunale israeliano sulla richiesta del governo Netanyahu di rimandarli subito, già domani, a Gaza. Le autorità israeliane affermano che questi palestinesi «non necessitano ulteriori cure mediche», quindi non possono restare a Gerusalemme. «Ho concluso un ciclo di chemioterapia ma i medici dicono che ne dovrò fare altri per combattere la malattia, se rientro a Gaza so già che non mi faranno tornare a Gerusalemme e per me sarà la fine», spiega Radwan.

Ad aprile l’espulsione fu fermata da un ricorso di Medici per i Diritti Umani. Ora è alto il rischio che possa scattare nei confronti di questi ammalati e dei loro accompagnatori, la decisione presa dal ministero israeliano della Difesa di cacciare via tutti i palestinesi di Gaza che si trovavano in Israele il 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas e dell’inizio della devastante offensiva israeliana contro la Striscia. Erano migliaia, quasi tutti manovali impiegati nei cantieri edili e nelle campagne; tra di essi anche i malati gravi ricoverati a Gerusalemme e in Cisgiordania. Molti lavoratori furono letteralmente scaricati ai valichi con i Territori occupati, non pochi furono arrestati e detenuti per settimane senza essere accusati di nulla, altri sono stati mandati a Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom, al confine con l’Egitto, un numero imprecisato si trova in Cisgiordania in centri di accoglimento a Gerico sotto stretta sorveglianza dell’Autorità nazionale palestinese.

Mohammed Razik, di Khuzaa (Khan Yunis), poco prima del 7 ottobre aveva accompagnato a Gerusalemme la sorella 78enne che da tempo lotta con il cancro al seno. «A Gaza non c’era modo di curarla bene, gli ospedali non avevano le attrezzature e i farmaci necessari» ci racconta «poi è arrivata la guerra e la nostra casa, come tutte le altre a Khuzaa, è stata distrutta e non abbiamo più un posto dove andare. Mia sorella è anziana e debole non potrebbe sopravvivere alle condizioni di Gaza, in una tenda e sbattuta da un posto all’altro». Interviene ancora Hussein Radwan. «Intendiamo tornare, tutti sogniamo che la guerra finisca e di rivedere le nostre famiglie, ma voglio andare a casa mia, a nord di Gaza! Non a Rafah, nel sud, dove vogliono portarci».

«Il rientro di questi palestinesi a Gaza – ha scritto Medici per i Diritti Umani – durante un conflitto militare e una crisi umanitaria è contro il diritto internazionale e pone un rischio deliberato per vite innocenti. A maggior ragione quando si tratta di pazienti che non possono affrontare condizioni igieniche precarie e la fame, insieme all’improbabile disponibilità di cure mediche».

 

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