Lavoro

I giovani francesi contro il Jobs Act di Hollande

I giovani francesi contro il Jobs Act di HollandeGiovani in corteo a Lione – Reuters

La protesta Cortei in tutte le città, università e licei in agitazione. Sindacati divisi, ma tantissimi lavoratori scendono in piazza. No al licenziamento facile e al superamento delle 35 ore. Il presidente, già in crisi dopo il ritiro della riforma costituzionale sulla cittadinanza, cerca di mediare. Per alcuni è la riedizione della rivolta contro il Cpe

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 1 aprile 2016

Ci sono già due nuovi appuntamenti: il 5 aprile scenderanno in piazza di nuovo liceali e studenti, poi, il 9, sarà un’altra giornata di cortei e scioperi in tutta la Francia, contro la riforma del Codice del lavoro. La protesta non cede. Ieri, al terzo giorno di manifestazioni di sindacati dei lavoratori e degli studenti, la mobilitazione è stata importante.

E questo malgrado le modifiche alla prima stesura del testo e la spaccatura dei sindacati – la Cfdt era ufficialmente assente dai cortei, anche se alcuni iscritti vi hanno partecipato, così come la Fage, organizzazione degli studenti. Cgt, Fo, l’Unef per gli studenti e altri 4 sindacati continuano a chiedere il «ritiro totale» della riforma. Al Senato, stessa richiesta da parte dei senatori del Pcf.
Per il segretario della Cgt Philippe Martinez, in testa al corteo parigino, bisogna «ripartire da zero, con un Codice moderno, che garantisca diritti a tutti i lavoratori, giovani e meno giovani». Per la Cfdt, al contrario, un ritiro del testo sarebbe «una sconfitta per i lavoratori», perché «siamo riusciti a far avanzare delle nostre proposte».

In preda alla confusione

Il governo è incerto, mentre l’onda d’urto della protesta è rafforzata anche dal ritiro precipitoso della riforma della Costituzione sulla privazione di nazionalità per i responsabili di terrorismo, annunciato da François Hollande alla vigilia. La ministra del Lavoro, Myriam El Khomri, sta valutando altri ritocchi, in particolare sui licenziamenti per motivi economici.
In preda alla confusione, il governo cerca di accontentare tutti: alla piccola e media impresa offre una diminuzione del periodo di calo di attività per poter licenziare (meno di un anno) e ai lavoratori propone di allungare questo lasso di tempo (più di un anno) per le grandi società. Ma ancora una volta prevale l’improvvisazione, come già messo in luce dal caos in cui è naufragata la riforma costituzionale: il Consiglio costituzionale potrebbe annullare questa modifica, perché infrange il principio di eguaglianza. Principio che i contestatori considerano rotto dalla riforma, che dà spazio agli accordi di impresa a scapito di quelli di categoria.

Più di 260 cortei e scioperi

«Touche pas à mon code», «Non à la casse du travail», «On vaut mieux que ça», ma anche un più auto-ironico «Plus de frites à la cantine» (più patate fritte alla mensa) e una carta interattiva per seguire i cortei su Internet (loitravail.lol). Ci sono stati più di 260 cortei attraverso le città francesi. Molto forte la presenza di giovani e giovanissimi. Una decina di facoltà bloccate, come 176 licei, a Parigi 11 chiusi preventivamente dai presidi, per evitare che si verificassero violenze, come una settimana fa. Il poliziotto filmato mentre pestava un ragazzino di fronte al liceo Henri-Bergson a Parigi ieri è stato messo in stato di fermo. La polizia ha fatto uso di lacrimogeni e di manganelli, anche in molte città di provincia. Ci sono stati una trentina di fermi, per le violenze ai margini dei cortei. Il portavoce del governo, il ministro Stéphane Le Foll, ha lanciato un «appello alla calma», molti ragazzi hanno espresso indignazione per le violenze gratuite da parte di casseurs, che «ci screditano». A Marsiglia, Nantes, Rouen, Rennes, Brest, Tolosa e altrove ci sono stati momenti di tensione nei cortei, incidenti con lanci di oggetti, petardi, vetrine spaccate.

A Parigi, dopo alcune tensioni al corteo dei liceali la mattina, nel pomeriggio sotto la pioggia la manifestazione si è divisa in “due teste”, i sindacati da un lato e un gruppo di giovanissimi, più nervosi, dall’altro. Scioperi seguiti nei trasporti (treni, aerei, metro), nelle amministrazioni, nella scuola, annullazioni all’Opéra, Tour Eiffel e Château de Versailles chiusi, giornali assenti dalle edicole e presenza nei cortei di molti lavoratori del settore privato, con i nomi sugli striscioni delle fabbriche che hanno chiuso o che licenziano.

C’è chi paragona questo movimento alla lotta – vittoriosa – contro il Cpe (Contrato di primo impiego) di 10 anni fa. «Non bisogna essere nostalgici – afferma pero’ William Martinet dell’Unef – ogni generazione inventa e decide come mobilitarsi». Ora c’è la forza di Internet, a potenziare l’impatto dei cortei.

Protesta al di là della riforma

La forza della mobilitazione mostra una lotta contro la riforma del Codice del lavoro che va al di là del contenuto del testo di legge, che manifesta angoscia per la disoccupazione che non cala, rabbia contro delle relazioni di lavoro che si degradano, contro la deriva dello strapotere del padronato, simboleggiato, proprio due giorni prima delle manifestazioni di ieri, dall’arroganza del raddoppio dello stipendio di Carlos Tavares, ad di Peugeot, salito a 5,2 milioni nel 2015, un «premio al merito» per il Medef (Confindustria francese) ma realizzato con il gelo del salari dei dipendenti e dei licenziamenti. Nei cortei anche l’espressione di una grande delusione verso i socialisti al governo, la conferma di una spaccatura ormai irrimediabile tra Hollande e i suoi ex elettori. La Cfdt sembra così predicare nel vuoto con la proposta delle modifiche al testo iniziale, in parte già accettate, con l’obiettivo di aggiungerne altre nel dibattito al Parlamento, dove la “fronda” socialista è in allerta e la sinistra della sinistra lotta per il ritiro. È l’idea stessa che sta alla base della riforma a non venire accettata: il concetto tipico della destra che il Codice del lavoro, cioè la protezione dei lavoratori, sia un ostacolo all’occupazione.

In una società a crescita zero, i manifestanti chiedono maggiore protezione, meno precariato, una riduzione dell’orario mentre la riforma annacqua le 35 ore, una democratizzazione delle relazioni di lavoro. Il Jobs Act di Hollande impone il concetto caro al Medef: se sarà più facile licenziare ci saranno più assunzioni. Le modifiche ottenute dalla Cfdt, che lasciano un po’ di spazio ai giudici del lavoro per stabilire le indennità in caso di licenziamento abusivo o riducono ai margini la libertà di licenziare, per i più cadono nel vuoto.

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