Il mito della crescita infinita di Facebook e il dogma religioso che lo considera una piattaforma aperta e neutrale sono un ricordo. Il caso Cambridge Analytica – la società accusata di aver sottratto i dati di milioni di profili Facebook per manipolare e influenzare i processi elettorali in tutto il mondo – è esploso al culmine dei due anni che hanno sconvolto uno dei campioni del capitalismo delle piattaforme. Ieri la creatura di Mark Zuckerberg ha perso il 6,8% a Wall Street e ha affondato gli altri social media: Twitter ha perso 9,68%, Snapchat 3,6%. Facebook ha bruciato 5 miliardi di dollari di capitalizzazione. A Zuckerberg poteva andare peggio. Dall’inizio del 2018 ha venduto 5 milioni di azioni della società e ha evitato un danno potenziale da 855 milioni di dollari. Alex Stamos, capo della sicurezza dei dati, lascerà Facebook. Lui ha precisato che lo farà a agosto.

LA CRISI della piattaforma – un colpo di genio che non produce contenuti che non siano la nostra forza lavoro digitale, affettivo, relazionale e cooperativa- è emersa con le elezioni presidenziali americane. Nel settembre 2017 Facebook ha riconosciuto che un gruppo russo ha pagato 100 mila dollari per 3 mila annunci «micro-targettizzati» a elettori americani. Nell’ottobre 2017 il ricercatore Jonathan Albright ha detto che sei account russi sono stati condivisi 340 milioni di volte.

L’USO DI FACEBOOK come «cavallo di troia» della pubblicità elettorale occulta è stato confermato dal caso Cambridge Analytica che porterà di nuovo Zuckerberg a rispondere davanti a una commissione del Senato americano. E, visto che la società londinese, ha operato nelle otto settimane di campagna per il referendum sulla «Brexit», anche gli inglesi (lato conservatore) vogliono sentire «Zucki». Ieri il presidente della commissione parlamentare per i media, Damian Collins, lo ha invitato a presentarsi perché – l’accusa è grave – «gli altri funzionari dell’azienda sono stati fuorvianti per la commissione». Elisabeth Denham, Garante britannico per l’informazione, ha chiesto un mandato di perquisizione per i server di Cambridge Analytica.

IL GARANTE Ue per la privacy, Giovanni Buttarelli, ha lanciato l’allarme: «le elezioni europee del maggio 2019 potrebbero essere il prossimo obiettivo di manipolazione elettorale attraverso l’uso degli algoritmi: il “modello” di Facebook è globale». Parere condiviso dal garante italiano alla privacy Antonello Soro che parla di «un processo ineluttabile», «questi soggetti sono in grado di consigliarci sia il prodotto da comprare sia il partito da votare». «Se confermato – ha detto la commissaria europea alla giustizia Vera Jourova – il cattivo uso per fini politici di dati personali è inaccettabile e orripilante».

L’UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE sta studiando le attività di Aleksandr Kogan, l’accademico coinvolto nello scandalo, colui che ha ceduto i dati a Cambridge Analytica dopo averli ottenuti e rielaborati da una platea di 270 mila persone reclutate su marketplace online. L’università ha chiesto a Facebook di fornire «tutte le prove rilevanti» su Kogan in relazione al suo coinvolgimento. Kogan è stato sospeso da Facebook, ma non dal suo ruolo a Cambridge. La conoscenza di questi aspetti è rilevante per stabilire in quale misura c’è stata una violazione dei dati e quanto invece riguardi l’attività di compravendita e uso politico a beneficio di Trump. Nell’inchiesta «coperta» su Channel 4, l’appena dimissionato Alexander Nix (ex Ceo di Cambridge Analytica) ha detto di avere avuto una stretta collaborazione con Trump e che la sua azienda era fondamentale per il successo della sua campagna. Tutto questo è avvenuto alle spalle di Facebook.

«SIAMO INDIGNATI, ci hanno ingannato» si è letto ieri in una nota dell’azienda. Ciò che fa «scandalo» è la sua incapacità di controllare l’uso degli utenti da parte di terzi. Una volta che i dati lasciano i server, Facebook non può, o non vuole, intervenire. Questa fatale incertezza è il vero problema di Zuckerberg