Una mezzaluna (simbolo dell’islamismo) raffigurata come uno stilizzato emisfero che, affiancato da una stella e le parole «for/with Libya» (per/con la Libia), rappresenta «un mondo che vuole porsi dalla parte della Libia»: è il logo della «Conferenza per la Libia» promossa dal governo italiano, come evidenzia il tricolore nella parte inferiore della mezzaluna/emisfero.

La Conferenza internazionale si concluderà oggi a Palermo, in quella Sicilia che sette anni fa è stata la principale base di lancio della guerra con cui la Nato sotto comando Usa ha demolito lo Stato libico. Essa veniva iniziata finanziando e armando in Libia settori tribali e gruppi islamici ostili al governo di Tripoli e infiltrando nel paese forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani camuffati da «ribelli libici».

Veniva quindi lanciato, nel marzo 2011, l’attacco aeronavale Usa/Nato durato 7 mesi. L’aviazione effettuava 30 mila missioni, di cui 10 mila di attacco, con impiego di oltre 40 mila bombe e missili. L’Italia, per volontà di un vasto arco politico dalla destra alla sinistra, partecipava alla guerra non solo con la propria aeronautica e marina, ma mettendo a disposizione delle forze Usa/Nato 7 basi aeree: Trapani, Sigonella, Pantelleria, Gioia del Colle, Amendola, Decimomannu e Aviano.

Con la guerra del 2011 la Nato demoliva quello Stato che, sulla sponda sud del Mediterraneo di fronte all’Italia, aveva raggiunto, pur con notevoli disparità interne, «alti livelli di crescita economica e sviluppo umano» (come documentava nel 2010 la stessa Banca Mondiale), superiori a quelli degli altri paesi africani. Lo testimoniava il fatto che avevano trovato lavoro in Libia circa due milioni di immigrati, per lo più africani.

Allo stesso tempo la Libia avrebbe reso possibile, con i suoi fondi sovrani, la nascita in Africa di organismi economici indipendenti e di una moneta africana. Usa e Francia – provano le mail della segretaria di stato Hillary Clinton – si erano accordati per bloccare anzitutto il piano di Gheddafi di creare una moneta africana, in alternativa al dollaro e al franco Cfa imposto dalla Francia a 14 ex colonie africane.

Demolito lo Stato e assassinato Gheddafi, nella situazione caotica che ne è seguita è iniziata, sul piano internazionale e interno, una lotta al coltello per la spartizione di un enorme bottino: le riserve petrolifere, le maggiori dell’Africa, e di gas naturale; l’immensa falda nubiana di acqua fossile, l’oro bianco in prospettiva più prezioso dell’oro nero; lo stesso territorio libico di primaria importanza geostrategica; i fondi sovrani, circa 150 miliardi di dollari investiti all’estero dallo Stato libico, «congelati» nel 2011 nelle maggiori banche europee e statunitensi, in altre parole rapinati.

Ad esempio, dei 16 miliardi di euro di fondi libici, bloccati nella Euroclear Bank in Belgio e Lussemburgo, ne sono spariti oltre 10. «Dal 2013 – documenta la Rtbf (radiotelevisione francofona belga) – centinaia di milioni di euro, provenienti da tali fondi, sono stati inviati in Libia per finanziare la guerra civile che ha provocato una grave crisi migratoria». Molti immigrati africani in Libia sono stati imprigionati e torturati dalle milizie islamiche.

La Libia è divenuta la principale via di transito, in mano a trafficanti e manovratori internazionali, di un caotico flusso migratorio che nel Mediterraneo ha provocato ogni anno più vittime delle bombe Nato del 2011. Non si può tacere, come hanno fatto perfino gli organizzatori del controvertice di Palermo, che all’origine di questa tragedia umana c’è la guerra Usa/Nato che sette anni fa ha demolito in Africa un intero Stato.