Nella lunga, gloriosa e travagliata storia dei referendum, dal divorzio all’acqua pubblica, non era mai successo che il Pci-Pds-Ds-Pd si dichiarasse ostile alla consultazione popolare usando motivazioni sempre fatte proprie dalle destre. Ma il partito di Renzi ci regala anche quest’altro inedito capitolo della sua mutazione antropologica.

In coppia come i classici carabinieri, i due vicesegretari, Serracchiani e Guerini, sparano a zero contro il referendum anti trivelle, la consultazione popolare che chiama gli italiani a dire la loro su un tema ambientalista molto importante. La contrarietà del governo è palese, ma non risulta che i due siano stati nominati ministri.

Contro questo voto, fissato il 17 aprile, la coppia di portaordini di Renzi attacca a testa bassa uno degli strumenti di democrazia diretta della tradizione laica e progressista. Se ne denuncia l’inutile spreco di denaro pubblico, gli si imputa di minacciare l’occupazione.

Una volta era la destra a lamentare i costi esorbitanti di questa nostra malconcia democrazia che non si accontenta di un leader bravo e buono, libero dagli intralci del parlamento, delle corti costituzionali e della magistratura. Si ricordano le appassionate denigrazioni dei riti elettorali e parlamentari del decisionismo berlusconiano, e, ancora prima, di quello craxiano, fino alle più recenti crociate astensioniste ruiniane. Adesso invece sono gli zelanti portavoce renziani a vedere un appuntamento referendario come «inutile spreco di soldi». Dimenticando che proprio i promotori della consultazione contro le trivelle proposero di abbinare la scheda ambientalista con quella delle prossime elezioni amministrative, ricevendone un netto rifiuto.

La posizione astensionista del Pd si esprime con tutta la volgarità di una deriva che se non invita gli elettori ad andare al mare il 17 aprile è solo perché non siamo nella stagione giusta. Molti nel partito vorrebbero sapere chi ha deciso che la posizione del Pd sarà quella dell’astensione quando numerosi presidenti delle regioni che hanno promosso il referendum sono proprio dello stesso partito dei due vicesegretari. Che, oltretutto, lanciano una specie di diffida all’uso del simbolo del Pd. Si sa, i carabinieri non si pongono domande, tengono l’ordine pubblico e al massimo fanno la spola tra palazzo Chigi e la televisione.