«Con profondo dolore il Movimento 5 Stelle annuncia la dipartita della democrazia». Un annuncio mortuario sventola a Montecitorio, nella piazza della protesta «rigorosamente pacifica», come scandiscono ossessivamente al microfono, convocata nel giro di poche ore contro il Rosatellum. Numeri non sbalorditivi (si erano auspicate cifre a quattro zeri), ma visto il precipitare degli eventi e la poca attitudine dei grillini alle proteste di questo tipo, tutt’altro che scontati.

Alla fine della giornata, circa 1500 persone, secondo la polizia, si avvicendano dietro le transenne che affacciano sulla camera, arrivate da tutt’Italia con viaggi last minute per assistere ad una sorta di maratona oratoria dei parlamentari e dei candidati grillini (c’è anche Giancarlo Cancelleri, che corre in Sicilia). Si teme una specie di macedonia di indignazioni varie, a condividere gli spazi coi fedeli del generale Antonio Pappalardo. Ma la convivenza dura solo qualche ora, il militare per di più minimizza i fischi di ieri dei suoi ad Alessandro Di Battista e cerca stoicamente di sovrastare con un megafono l’impianto voce approntato dai pentastellati.

I «ragazzi» che escono dal parlamento ci tengono a mostrarsi nauseati dalla loro vita dentro i palazzi. La deputata toscana Sara Paglini rossa in volto dice che può accadere che «un cittadino ti rubi il portafoglio», solo che in Parlamento «ci stanno rovinando la vita». Altri portavoce raccontano di una quotidianità infernale dentro le stanze del potere. La Lega, forse per ragioni di contesa del corpo elettorale, è oggetto polemico ricorrente. «Come fanno a dire ‘Prima gli italiani’ e poi votare questa legge che va proprio contro gli interessi degli italiani?» chiede Laura Castelli, parlamentare torinese molto vicina a Luigi Di Maio. «Mi meraviglia Salvini, che per 5 anni ci ha rotto i coglioni con le ruspe, con le felpe, con l’antisistema». Qualcuno addirittura urla «Bossi traditore!».

Il candidato premier è considerato un valore aggiunto, soprattutto perché, dicono i grillini, «gli altri partiti non potranno mai garantire che il loro leader diventerà davvero capo del governo: noi soli possiamo». Di Maio arriva, dice che il risultato che si erano prefissi è stato ottenuto «perché i giornali stranieri parlano di noi e dicono che abbiamo ragione». Poi tutti insieme si canta l’inno di Mameli. Di fronte alla minaccia per la democrazia, il Movimento ritrova l’unità. Di Maio viene fuori assieme al rivale Roberto Fico.
Per una giornata vengono riscoperti toni un po’ girotondini: la minaccia alla Costituzione, lo spettro di Berlusconi e il conflitto di interessi, il rischio della svolta autoritaria. «Questo è il nuovo fascismo», dicono in molti e soprattutto Alessandro Di Battista, che pure da mesi urla che parlare di antifascismo è come «dividersi tra guelfi e ghibellini».
Anche Nicola Morra, nelle settimane scorse dato come oppositore del nuovo corso, fa schizzare in alto l’applausometro. Siamo «incazzati ma democraticamente», dice ritrovando il tono didascalico da professore di liceo classico. La certezza è che il colpo di mano della maggioranza finisca per ritorcersi contro Pd e compagni.
Il format messo in piedi dallo staff della comunicazione pentastellata prevede che ogni tanto la serie di interventi (tutti brevi, rigorosamente scanditi ogni cinque minuti) venga interrotta dalla diretta dei lavori in aula. Quando lo schermo si accende, prima che parli Danilo Toninelli, la piazza esplode in urla e fischi e l’ormai classico «Onestà onestà». Poi arriva il turno del grillino, che asseconda questo gioco di sponda, fa riferimento a chi lo aspetta fuori e scandisce: «Noi siamo l’Italia».
Oggi la mobilitazione continua, Di Maio annuncia una veglia serale in attesa della votazione decisiva. Potrebbe esserci anche Beppe Grillo.