Lo Stretto di Hormuz è un canale lungo circa 100 miglia marine, arcuato, collega il Golfo persico e l’Oceano indiano. È una depressione geologica, ovvero la continuazione delle montagne meridionali dell’Iran che si inabissano per risalire e formare la penisola di Musandam. Il tratto più breve, di 21 miglia, separa l’isola iraniana di Larak e l’isola omanita della Grande Quoin.

I corridoi di passaggio sono due, ognuno di due miglia, abbastanza larghi e profondi per far transitare le petroliere. Da qui passa un quinto delle esportazioni mondiali di petrolio, quasi 19 milioni di barili al giorno, molti di più rispetto al Canale di Suez dove ne passano 5,5 milioni. Se gli iraniani controllano lo Stretto di Hormuz, è anche perché qui hanno sei isole strategiche: Hormuz, Larak, Qeshm, Hengam, la Grande Tunb e Abu Musa.

Andiamo con ordine, partendo dal Golfo persico. Dalla foce del fiume Arvand alla penisola omanese di Musandam, è lungo 800 chilometri, è collegato dallo Stretto di Hormuz al Golfo di Oman e da qui all’Oceano Indiano. Il Golfo è largo 80 km al suo ingresso (Stretto di Hormuz) e 220 km alla sua estremità, toccando nel punto più largo i 320 km. La profondità raggiunge raramente i 90 metri; nei pressi di Ras Musandam si registra la profondità maggiore: 180 metri. Il Golfo persico è strategico da sempre.

Dopo aver messo fuori gioco francesi e olandesi, all’inizio dell’Ottocento gli inglesi vi dominavano incontrastati. A fine secolo la Germania e la Russia zarista iniziarono a manifestare interesse per l’area. Con la scoperta, a inizio Novecento, dei giacimenti di petrolio sulle coste meridionali della Persia, Londra si dimostrò ancora più determinata nell’espandere la propria influenza per controllare la via per le Indie: ottenne la concessione d’Arcy per estrarre il petrolio, insediò i South Persia Rifles nel sud Iran per difendere i propri interessi e costituì un governo fantoccio in Kuwait e nelle isole del Golfo.

Dopo la rivoluzione irachena che nel 1958 mise fine alla monarchia hashemita, il sovrano iraniano Muhammad Reza Shah temette l’estendersi del nazionalismo arabo nella regione. Preoccupazione che si fece più forte con l’annuncio nel 1968 dell’intenzione da parte degli inglesi di abbandonare l’area.

Per gli iraniani la sicurezza del Golfo, via privilegiata del commercio, era – e resta – indispensabile per l’esportazione di petrolio. Lo scià decise che avrebbe sostituito il Regno unito e, per spianare la strada, risolse alcune dispute con Kuwait, Arabia saudita, Qatar e Bahrain.

Le controversie aperte rimasero due: con l’Iraq per il fiume Shatt al-’Arab, risolta nel 1975 con la concessione da parte irachena alla richiesta iraniana affinché il confine fosse fissato nelle acque profonde del fiume. La guerra Iran-Iraq, scatenata da Saddam Hussein nel 1980, è quindi stata innescata dal desiderio di rivincita nei confronti di Teheran, che aveva avuto la meglio attraverso la via diplomatica cinque anni prima.

La seconda controversia riguardava l’occupazione iraniana nel 1971 delle isole Tunb e di Abu Musa all’imbocco del Golfo: tre isolotti sotto sovranità iraniana e contesi dagli Emirati arabi con il sostegno del resto dei paesi arabi.

Secondo la cartografia e i documenti britannici, esaminati in dettaglio nel volume The Three Iranian Islands of the Persian Gulf (2008), le tre isole appartengono all’Iran. Gli Emirati hanno a più riprese proposto di risolvere la disputa attraverso negoziati diretti oppure per mezzo di un arbitrato internazionale, ma Teheran ha sempre rifiutato perché le tre isole sono situate in una posizione strategica. Abu Musa è un isolotto di circa 12 km quadrati.

Nel 2005 vi erano approdati con il loro yacht gli inglesi Rupert e Linda Wise con l’australiano Paul Shulton. Arrivavano da Dubai e, dopo aver letto le carte nautiche, avevano deciso di farvi tappa. Non sapevano però della presenza di militari iraniani e della tensione tra Iran ed Emirati. Erano stati avvicinati da due navi militari e trattenuti per una decina di giorni perché sospettati di spionaggio o comunque di provocazione.