Il nuovo Comitato elettorale di Hong Kong ha preso vita. Dopo 13 ore di attesa per lo spoglio di 4380 schede, il governo dell’ex colonia britannica ha annunciato con successo il risultato delle “prime elezioni democratiche” dalla revisione del sistema elettorale introdotta il marzo scorso da Pechino per consentire solo ai patrioti di governare la città. La narrativa ufficiale dell’esecutivo di Hong Kong si sposa con quella di Pechino che, dal novembre 2019, cioè da quando si sono svolte le elezioni dei consiglieri distrettuali con una schiacciante vittoria del fronte anti-governativo, cerca di cancellare l’opposizione.
Nella giornata di domenica si è registrata un’affluenza record: hanno votato 4380 elettori, oltre l’80 per cento dei 4.900 votanti. Sostanzialmente, chi si è recato alle urne rappresenta lo 0,06 per cento della popolazione di Hong Kong, che conta oltre sette milioni e mezzo di abitanti. Un cambiamento drastico rispetto al 2016, quando almeno 233.000 abitanti della città potevano selezionare i membri del Comitato elettorale.
Con la revisione del sistema elettorale dello scorso marzo, il Comitato ha infatti visto l’ampliamento del numero dei seggi, con l’ingresso di 300 delegati provenienti dalla Conferenza consultiva del popolo, quindi lealisti di Pechino.
Ma i candidati in gara per le elezioni del Comitato di 1500 membri erano 412 su 362 seggi disponibili. Un gioco di numeri complesso è stato infatti pensato per mantenere fuori l’opposizione: i restanti 1136 seggi sono assegnati su nomina, da membri d’ufficio, o scelti da particolari gruppi di interesse in città.
Il Comitato elettorale presto sarà al lavoro per designare alcuni dei membri del Legislative Council, il parlamentino di Hong Kong. A dicembre, infatti, ci sarà la nomina di 40 dei 90 legislatori. Di questi, solo 20 saranno eletti direttamente dai cittadini e i restanti 30 saranno selezionati dagli esponenti del cuore industriale e imprenditoriale dell’ex colonia britannica: figure pro-Pechino.
A marzo 2022, il Comitato elettorale avrà invece il compito di nominare il futuro Chief Executive, il governatore della città, che avrà già ricevuto il semaforo verde da Pechino.
Le elezioni di domenica segnano però un punto di svolta: per la prima volta dal 1997, i candidati, accusati di non aver svolto una campagna elettorale molto attiva, non hanno affrontato questioni politiche come il separatismo e l’identità culturale. Nel magma degli eletti con simpatie e istanze cinesi, solo uno dei due esponenti del campo pan-democratico ha ottenuto un seggio. Tik Chi-yuen, ex fondatore del Democratic Party e ora leader del partito di centro Third Side, ha ottenuto 55 voti con un colpo risultato vincente: invitare gli elettori a mettere da parte le opinioni politiche.
Intanto continua la stretta sui gruppi della società civile. Ieri è stata ufficializzata la chiusura della Hong Kong Confederation of Trade Unions (HKCTU), la principale sigla del movimento sindacale dell’ex colonia britannica. Il processo verso la sinizzazione della politica di Hong Kong è iniziato.