La sottovalutazione dello sforzo bellico per conquistare la capitale da parte del generale cirenaico Haftar è ormai chiara. A una settimana dal lancio dell’offensiva che avrebbe dovuto dargli campo libero nella capitale, sottomettere le milizie di Tripoli e garantirgli un podio più alto nella conferenza nazionale libica che avrebbe dovuto iniziare domenica prossima a Ghadames, al confine con l’Algeria, le sue truppe – il Libyan national Army – fino a ieri sera erano ancora impantanate nei sobborghi meridionali della città.

Conquistano posizioni, come la caserma della quarta brigata ad Aziziya, con un bottino di vecchie armi risalenti ai tempi del Colonnello Gheddafi e qualche prigioniero e ne perdono altre più vicine al centro, come la Gran Porta 27 e la zona di Wadi Rubaie. In serata però il generale Ben Nayel, comandante delle forze di Haftar impegnate a sud della capitale, ha detto ad Agenzia Nova che il 155° battaglione di fanteria era «entrato nel campo di Yarmouk prendendone il pieno controllo», a soli otto chilometri dal centro.

Proprio per uscire dal guado il generale ha dato fondo alla mobilitazione bellica e questo spiegherebbe perché – denunciano i media della Tripolitania – ha reclutato come soldati anche minorenni.

Le foto del Libya Observer ne mostrano una decina, fatti prigionieri, ancora in divisa mimetica ma a piedi nudi, costretti a posare portando cartelli gialli con scritte in arabo. I quotidiani dicono che sono stati ingaggiati nelle fila dell’Lna dietro un compenso di 4mila dinari.

Sbarbatelli tra i 14 e i 17 anni, bambini-soldato mandati al fronte a morire – anche se il bilancio dei caduti resta intorno alle 50 unità – per una paga da 800 euro, considerando il tasso di cambio al mercato parallelo, rimasto finora stabile.

Una foto ne ritrae altri, sempre senza scarpe, seduti in un cortile mentre sorseggiano succo di frutta da brik con cannuccia smangiucchiando felafel.

La ferocia non è solo da una parte. Ieri alle forze di Misurata a difesa del governo di Serraj – che nel frattempo ha perso un altro pezzo, il ministro della Giustiuzia Moahamed Lamlum fuggito a Tuniusi – si è unito l’ex comandate dell’operazione «Alba libica» del 2014, Salah Badi, messo all’indice negli Usa per l’utilizzo di missili Grad terra-aria in zone densamente popolate di civili.

Ieri la Mezzaluna rossa è riuscita a evacuare una trentina di famiglie dai luoghi degli scontri a Ein Zara e Wadi Rubaie. E l’Unhcr in mezzo agli spari ha trasferito in pullman 150 migranti da un centro di detenzione a un altro più arretrato.

L’inviato dell’Onu Salamè, rimasto in città, ha convocato una conferenza stampa in mattinata per annunciare che non si dà per vinto e che la conferenza nazionale, che dovrebbe ristabilire pace duratura e stabilità legale portando il Paese a elezioni entro l’anno, è solo temporaneamente slittata.

Secondo gli analisti indipendenti dell’International Crisis Group, l’Onu – e l’Italia, dove oggi il premier Conte riferisce in Parlamento sulla crisi in Libia – negli ultimi mesi ha avuto troppa fiducia sulla riuscita della conferenza di Ghadames. Un po’ come Haftar ha avuto troppa fiducia nella facile conquista del Fezzan (dove è dovuto intervenire nelle ultime ore per reprimere un’insorgenza dell’Isis vicino Jufra) e nella sua possibile popolarità come liberatore di Tripoli dalla morsa delle milizie al soldo del governo.

Secondo il rapporto dell’Ics Haftar ha scambiato il silenzio di alcuni partner – Russia, Egitto, Francia, Emirati – per appoggio. Ma per evitare l’ingresso in campo di potenze regionali, come Qatar e Turchia, e quindi il deflagrare della guerra, l’Onu dovrebbe attivare sanzioni, impedire il foraggiamento di armi ai contendenti, uscire dalla logica dei tavoli Haftar-Serraj per allargare il dialogo ad altre forze, favorire un nuovo assetto della sicurezza nella capitale e risolvere il problema della spartizione dei proventi del petrolio attraverso la Banca centrale, oggi in mano all’inamovibile Sadiq Kabir, della Fratellanza musulmana, che utilizza il suo potere a detrimento della Cirenaica.

L’attività dei pozzi per il momento non ha risentito della guerra nella lontana Tripoli, la compagnia libica Noc ha dichiarato che la produzione procede as usual invitando le due parti ad astenersi da attacchi alle infrastrutture petrolifere. Ma se la guerra si dovesse estendere è evidente che non basterà questo richiamo a evitare danni e distruzioni.