Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Mef, lei è l’unica esponente del governo a non criticare la scelta dello sciopero generale fatta da Cgil e Uil.
Considero lo sciopero legittimo frutto di una autonoma valutazione che ha portato a decidere questa forma di protesta. Io però do una doppia valutazione rispetto a Cgil e Uil. Sulla legge di bilancio la penso diversamente perché è una manovra espansiva, per la crescita, con scelte importanti sul welfare anche se ci stiamo adoperando per migliorarla ulteriormente. Condivido invece la preoccupazione sui temi di medio e lungo periodo: per uscire dalla crisi con più sensibilità ai temi del lavoro servono impegni precisi contro la precarietà e sulle pensioni, temi sui quali il governo dovrebbe convocare i sindacati il prima possibile.

La sottosegretaria di Leu Maria Cecilia Guerra

La critica principale dei sindacati alla manovra è la destinazione degli 8 miliardi di bonus fiscale: perché non sono andati tutti sul taglio del cuneo contributivo per buste paga e pensioni come chiedeva Bankitalia e perfino Confindustria?
Condivido la posizione dei sindacati e ho sostenuto la medesima opzione. Sul punto però la mediazione raggiunta nella maggioranza che prevede 7 miliardi al taglio dell’Irpef e uno solo al taglio dell’Irap non era affatto scontata. E’ stato importante anche il risultato ottenuto dal sindacato della decontribuzione per 1,5 miliardi che aumenterà le buste paga per il 2022.

Ma perché il taglio dell’Irpef – con la riduzione a quattro scaglioni e benefici quanto meno uguali per i redditi alti – è strutturale e la decontribuzione è una tantum per il solo 2022?
Perché quell’intervento è venuto dopo, a accordo di maggioranza già definito. Il dato positivo è che migliorano gli aspetti distributivi della manovra. Se fossimo un governo di sinistra sarebbe diverso ma, con una maggioranza così ampia sulla tassazione le posizioni sono diversissime, e per questo si è dovuto trovare un compromesso.

In realtà il “compromesso” sugli 8 miliardi – il cuore della manovra – non è ancora stato depositato in parlamento. Siamo al 10 di dicembre e di solito a questa data la legge di bilancio è già stata approvata almeno da una camera. Un ritardo gravissimo e intollerabile in una democrazia parlamentare.
Il ritardo è dovuto alla volontà del governo di allargare la responsabilità dell’accordo alla maggioranza. In più ci sono approfondimenti tecnici ancora in corso in particolare per quanto riguarda la definizione delle detrazioni.

Sulle detrazioni il quadro non è ancora chiaro e così la chiarezza nei raffronti dei benefici tra aliquote e detrazioni tra fasce di reddito. Il diktat di destra e Italia viva è stato che tutti ci dovessero guadagnare riducendo i benefici per i redditi bassi.
È chiaro che se avessi deciso io lo strumento, rispetto a un taglio delle aliquote avrei usato un allargamento della base imponibile togliendo il regime forfettario e prevedendo anche per i redditi da capitale e per i patrimoni una tassazione progressiva

Non era possibile ottenere di più facendo sponda con il M5s?
Nel tavolo composto da tutte le forze di maggioranza ci siamo battuti per questa soluzione. Sul fronte fiscale la sponda ce l’ha data più il Pd che il M5s ma il compromesso alla fine è stato accettato da tutti. Mentre quando Draghi ha proposto di neutralizzare i benefici sopra i 75 mila euro per aumentare gli aiuti alle famiglie bisognose sulle bollette, ipotesi che noi abbiamo sostenuto con forza, si è trovato in minoranza.

Sta di fatto che la legge di Bilancio, come sostengono Cgil e Uil, nonostante le tante risorse non riduce le disuguaglianze.
In realtà gli aspetti positivi prevalgono sui negativi. In una manovra che per quattro quinti è fatta di spesa pubblica abbiamo: 2 miliardi in più per tre anni consecutivi alla sanità; un miliardo a regime per le assunzioni negli asili nido; il rafforzamento del personale Covid nelle scuole anche nel 2022; il finanziamento della riforma che rende universali gli ammortizzatori; investimenti pubblici.

Tenendo conto del suo ruolo – lei è in quota Leu, un partito che non è mai realmente esistito e un gruppo parlamentare che si è assottigliato con Sinistra Italiana passata all’opposizione – è innegabile come la rappresentanza politica degli interessi dei lavoratori non è mai stata così bassa nella storia repubblicana.
La rappresentanza politica e quella sindacale sono diverse. In questo momento è chiaro che il sindacato rappresenta e interpreta una domanda e un malessere che chiunque ha gli occhi per vedere sa che si sta allargando. Nel rispetto del mio ruolo cerco ogni giorno di battermi per portare le istanze del lavoro nelle politiche di governo.

A proposito, il Corriere scrive che lei è del Pd. Siamo male informati noi?
Io sono al governo in quota Leu e il mio partito è Articolo 1 che ha aderito al percorso delle Agorà del Pd non con la volontà di confluirvi ma per cercare di creare un campo largo di centrosinistra.

Draghi paradossalmente è sembrato più sensibile del ministro Franco alle richieste dei sindacati. Se salirà al Quirinale il quadro politico – con la possibile staffetta con lo stesso Franco – rischia di essere ancora più complicato per la sinistra di governo.
Io penso che Draghi e Franco lavorino in grande sintonia. Le condizioni che hanno portato al governo Draghi – pandemia e gestione del Pnrr – sono ancora presenti. Credo inoltre che la scelta per il Quirinale sia ampia e non limitata a una sola persona. Dopo di che vedremo quale sarà il quadro politico e verificheremo le condizioni.